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20090927 - 27 Settembre

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Discorso Divino
Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba
27 settembre 2009

 

Nessuno può sondare il mistero della creazione di Dio



La terra si popola
Eoni addietro, c’era oscurità in ogni dove, non c’erano esseri umani né altre creature; dappertutto l’oscurità era profonda. Poi cadde una pioggia torrenziale per anni in fila e, come risultato di questo diluvio, si formarono gli oceani e sorsero le montagne. Pian piano, le stelle apparvero nel cielo e anche il sole brillò e diffuse i suoi raggi sulla terra. Gli oceani e il cielo divennero blu; questo colore è indice della loro immensità. Anche Dio è immenso, per cui viene raffigurato come fosse blu. Gradualmente, le foreste e le colline, gli insetti e le creature, gli uccelli e le bestie crebbero sulla terra. Milioni di creature di specie differenti e anche gli umani cominciarono a popolare la terra.

 

I cervi di Prashânti Nilayam
Una volta, diversi anni fa, quando ero molto giovane, andai ad Anantapur. Abitavo nel bungalow dell’esattore distrettuale ed egli venne da Me e disse: “Swami, ci sono molti cervi qui; per piacere, prendine due e portali nel Tuo âshram.” L’immobile di Prashânti Nilayam non era ancora costruito, per cui portai inizialmente quei due cervi a Bangalore; là si moltiplicarono a centinaia, ma non avevano spazio sufficiente e quindi, più tardi, furono trasferiti a Prashânti Nilayam e tenuti in un parco tutto per loro. È così che la creazione di Dio si moltiplica giorno per giorno.
Sta piovendo e vedo delle signore che si stanno bagnando; lasciatele entrare, e anche gli uomini. Mi dispiace che tanti devoti dal lato delle donne e degli uomini stiano sotto la pioggia per avere il darshan di Swami e ascoltare il Suo Discorso. Nessuno può sondare il mistero delle azioni di Dio.


Il campo scout
Quando frequentavo la scuola media a Kamalapuram, una cittadina vicina a Kadapa sede centrale di un distretto nell’attuale stato dell’Andhra Pradesh, ero molto giovane e piccolo. In un posto chiamato Pushpagiri, che si trova tra Kamalapuram e Kadapa, si teneva annualmente una grande fiera contadina e un giorno l’insegnante di ginnastica ci disse: “Ci sarà una grande fiera del bestiame a Pushpagiri la settimana prossima; verranno molte persone dai villaggi vicini e da tutto il distretto. Noi dobbiamo inviare dei volontari della nostra scuola a indirizzarle e far loro servizio.” L’insegnante di ginnastica era anche il capo scout e insistette affinché tutti i ragazzi della scuola partecipassero al campo scout e aiutassero la gente a visitare la fiera. Egli si rivolse a Me dicendo: “Râju, Tu devi essere il capo di questo campo.” Io protestai dicendo: “Signore, i ragazzi sono tutti più grandi di Me; come posso controllarli? Non posso farlo”, ma tutti gli allievi e gli insegnanti appoggiarono l’idea che Io fossi il capo del campo. Il giorno dopo, l’insegnante ci chiamò e disse che tutti avremmo dovuto indossare camicia e pantaloncini kaki, una cintola di cuoio e un fischietto; inoltre ognuno doveva avere degli scarponcini, un bastone e una torcia elettrica. Come potevo Io procurarmi tutto questo? Non avevo nemmeno un paisa in tasca.


La divisa per il campo
Due miei compagni di classe, Ramesh e Suresh, sedevano con Me in un banco a tre posti, uno alla Mia destra e uno a sinistra. Ramesh era figlio di un facoltoso funzionario del fisco ed era della Mia stessa statura; egli andò da suo padre e disse: “Padre, l’abbigliamento kaki mi piace molto; per favore, puoi farmi confezionare due paia di camicie e pantaloncini di quel colore?” senza rivelargli il proposito di dare il secondo paio a qualcun altro. Il giorno dopo, ne portò un paio in una borsa di tela che pose sotto il mio banco con un biglietto in cui aveva scritto: “Râju, Tu sei mio fratello; per cui, se non Ti spiace, Ti prego di accettare questo vestito. Per favore non me lo restituire; se lo farai io starò molto male e mi ucciderò.”
È la Mia linea di condotta il non accettare niente da nessuno. Ero profondamente convinto che l’amicizia tra due persone non può durare a lungo se la relazione si basa sul principio del dare e dell’avere, e quindi gli restituii gli indumenti con un biglietto: “Se tu e Io dobbiamo continuare a essere buoni amici, riprenditi queste vesti.” Ramesh pianse davvero per la Mia insistenza e riprese gli indumenti con molta riluttanza. Tutti i ragazzi volontari per il servizio scout dovevano partire l’indomani per Pushpagiri; si trattava di un viaggio di undici miglia a piedi, dato che allora nessun autobus copriva quella linea.


Niente soldi
I ragazzi contribuirono con cinque rupie a testa per le spese di mantenimento, ma Io non avevo denaro, nemmeno un paisa, per cui escogitai un piano. Io tenevo i Miei libri ordinati e puliti e, a quel tempo, ben pochi alunni potevano permettersi di comprare libri nuovi al passaggio alla classe superiore; per questo si usava comprare libri di seconda mano a costo ridotto e un ragazzo povero Mi chiese di comprare i Miei. Anche per le classi più basse c’erano dei testi ponderosi di materie come Storia, Geografia, Educazione Civica ecc. Il costo dei miei libri ammontava a diciotto rupie ed essi sembravano nuovi di zecca, ma il ragazzo non poteva pagare quella cifra, per cui gli dissi: “Non ti preoccupare, dammi cinque rupie e prendi i libri.” Egli pagò subito la cifra tutto contento.
A quei tempi, le banconote erano rare e lui pagò tutto l’ammontare in monetine avvolte in un pezzo di stoffa; il tessuto era vecchio e si lacerò non potendo reggere il peso delle monete che si sparsero per tutta la stanza facendo un gran rumore. La padrona di casa udì il suono, venne lì e chiese: “Dove hai preso tutti questi soldi? Li hai rubati dal mio baule?” - prendendo a rimproverarmi. Io le spiegai: “ No, madre! Io ho venduto i Miei libri a questo ragazzo; è lui che Mi ha dato le monete.” Il compratore che aveva assistito alla scena, disse: “Madre! Io ho dato quelle monete a Râju come prezzo dei Suoi libri che Egli mi ha venduto”, ma ella non gli credette e punì anche lui, portò via tutti i soldi e Io rimasi senza neppure un centesimo.


Un viaggio da solo di notte
I ragazzi che partecipavano al campo erano tutti ricchi e ben vestiti; essi vennero a prenderMi a casa, ma, nella situazione in cui mi trovavo, non potevo andare con loro. Se avessi detto che avevo la febbre, avrebbero portato un termometro e controllato la Mia temperatura; se avessi accusato una qualche indisposizione, Mi avrebbero fatto visitare da un dottore e quindi dissi: “Ho mal di stomaco, non posso venire con voi oggi.” I ragazzi si rammaricarono e partirono contro voglia senza di Me. Io partii la stessa notte da solo alla luce della luna; camminai a lungo e raggiunsi Pushpagiri all’alba. Ero molto stanco avendo camminato per undici miglia senza interruzione, avevo fame e sete; per lavarMi la faccia e le mani, cercai dell’acqua, ma non ne vidi. Lì vicino c’era un serbatoio di mattoni con acqua molto sporca che veniva usata per lavare i bovini; non avendo altra possibilità, Mi lavai il viso con quella e ne bevvi anche un po’ per quietare la sete. Poi notai che qualcuno aveva lasciato un pacchetto di bîdi (sigarette rustiche) e una moneta da un anna sul serbatoio; logicamente i bîdi non Mi erano di alcuna utilità. Li gettai via e presi la moneta da un anna e la cambiai in quattro monetine (bottu).
Reperire i soldi per alimentarsi
Nel tornare, vidi un uomo seduto al lato della strada che giocava a carte sopra una coperta e invitava i passanti a scommettere gridando: “Fiori, picche, quadri ecc.” Egli Mi invitò dicendo: “Râju, Tu sei un ragazzo fortunato. Vieni, vieni! Scommetti su qualunque carta e io Ti darò il doppio se vinci.” Non c’è dubbio che questo fosse un gioco d’azzardo, ma, in quel momento, Io non avevo altra risorsa e cominciai a mettere una moneta su una carta differente ogni volta, riscuotendo sempre il doppio. Giocai finché non ebbi sedici anna, dopodiché decisi che fosse sufficiente e lasciai il gioco tornando con il denaro appena vinto. Dato che avevo fame, comprai tre dosa con un bottu; allora i dosa si pagavano un dammidi (un terzo di bottu) ciascuno e così Mi alimentai ogni giorno con i dosa spendendo due bottu.
Pur facendo normalmente attività di servizio come ogni altro ragazzo, nel profondo del cuore ero consapevole del fatto che scommettere è una cattiva abitudine e che non avrei dovuto ricorrervi. Io conoscevo la storia del Mahâbhârata in cui Dharmarâja perse ogni cosa inclusa la moglie, i fratelli e il regno.

 

Il fratello arrabbiato
Alla fine del campo Mi rimaneva un bottu con cui comprai dei dolci, della frutta, dei fiori, del kumkum e dei braccialetti per Mia cognata. Seshama Râju, il fratello maggiore di questo Corpo, andò a fare un corso di addestramento per insegnanti e tornò. Appena entrato in casa, notai che egli stava tracciando delle linee su un quaderno con un righello di legno; era molto arrabbiato del fatto che sua moglie fosse dovuta andare a prendere l’acqua durante la Mia assenza di tre giorni e fosse perciò molto stanca. Quando le offrii i dolci e i frutti che avevo portato da Pushpagiri, ella li gettò in terra e rifiutò perfino il kumkum che è un segno di buon augurio. Dopo questo fatto Seshama Râju si infuriò e Mi colpì all’avambraccio con il righello che si ruppe in tre pezzi. La Mia mano si gonfiò. Io non rivelai questo fatto a nessuno e strinsi da solo una fasciatura sulla mano gonfia con della stoffa bagnata.


Il nipotino muore
Il giorno dopo, il figlio di Seshama Râju morì ed egli inviò un telegramma al padre affinché venisse subito. A quei tempi, a Puttaparthi non c’era ufficio postale né telegrafico; i telegrammi venivano spediti a Bukkapatnam e da lì un messo li portava a destinazione. Pedda Venkama Râju, padre di questo Corpo, andava regolarmente a Bukkapatnam a comprare il necessario per la fiera del villaggio; vide quindi il telegramma e si precipitò a Kamalapuram. Dopo aver parlato con i membri della famiglia, chiese perché la Mia mano fosse gonfia e fasciata, al che Io cercai di presentare la cosa come di poco conto e dissi che avevo urtato per caso una porta in casa, ma che non era niente di serio. Allora intervenne una vicina che informò Pedda Venkama Râju: “Signore, non si tratta di un fatto isolato; il vostro figlio maggiore picchia il ragazzo ogni giorno e noi soffriamo molto nell’assistere al Suo tormento.”


Molte incombenze e punizioni
Seshama Râju era molto in collera con Me perché sua moglie si lamentava di Me tutti i giorni dicendo che non facevo questo o quel lavoro; le Mie incombenze giornaliere in casa loro consistevano nella preparazione dell’acqua calda per il bagno e del caffè il mattino presto per Seshama Râju e sua moglie, nel fare lavori vari inerenti la casa e, cosa della massima importanza, andare ad attingere l’acqua da bere il mattino e la sera da un canale che era a una certa distanza. Per fare tutti questi lavori, e frequentare la scuola in orario, dovevo alzarMi molto presto, circa alle tre. Nonostante questo programma frenetico, ero molto contento che la gente del villaggio fosse buona e Mi amasse molto. Tutti si interessavano affettuosamente del Mio benessere ogni giorno e apprezzavano davvero il Mio cantare. Quando andai a Pushpagiri per il campo scout, tutto questo programma movimentato si arrestò. Nonostante i vicini avessero molta considerazione per il Mio intenso lavoro e per la Mia indole buona, le persone della famiglia di Seshama Râju non sopportavano la Mia assenza e l’interruzione della routine quotidiana; essi Mi sgridavano se in qualunque giorno ero un po’ in ritardo nel portare l’acqua dal canale. Naturalmente Io ignoravo tutto quel gridare e proseguivo nel Mio lavoro pazientemente come al solito.


Il padre Lo vuole riportare a casa
Griham Abbâyî (il padre di Baba; letteralmente significa “papà di casa”) Mi disse che quella sera doveva uscire per i suoi bisogni corporali; non c’era luce, era buio tutto intorno e Io portavo una piccola lampada a petrolio in una mano e un recipiente d’acqua nell’altra. Lo accompagnai in un luogo isolato, posai quelle cose per terra e feci per tornare, ma egli prese la Mia mano e, molto addolorato, Mi disse: “Sathya! Ti ho mai percosso in tutti questi anni? Tu stai subendo troppa sofferenza qui nelle mani di questa gente; vieni via da questa casa. Vieni, torniamo a casa domattina presto.” Io cercai di tranquillizzarlo dicendo: “Non è corretto da parte Mia lasciare la casa, specialmente ora che essi sono addolorati per la morte del figlio. Per favore, vai prima tu; Io verrò in seguito”, al che Griham Abbâyî partì per Puttaparthi molto riluttante.


La madre decide che torni
Arrivato a casa, informò Griham Ammâyî (la madre di Baba; letteralmente, “mammina di casa”) della situazione; ella non poté trattenere il suo dolore e, piangendo per la Mia sofferenza, gli disse: “Sathya è un ragazzo molto buono; non L’ho dovuto mai battere. Ora sento che Seshama Râju Lo percuote spesso ascoltando le parole di altri e non posso sopportarlo oltre. Possiamo mantenere Sathya in qualche modo, magari vendendo sale, se necessario; non c’è bisogno che Egli dipenda da altri per il Suo mantenimento. Per favore, vai a prenderLo e riportaLo a casa.” Griham Abbâyî cercò di illustrarle la sua impossibilità, ma, a seguito dell’insistenza di lei, dovette inviare il telegramma: “Tua madre ha deciso: vieni a Puttaparthi.” A questo punto non ebbi altra scelta che tornare a casa. A quell’epoca, a Kamalapuram c’era un commerciante di nome Kotte Subbanna che vendeva il famoso ricostituente per bambini “Bâla Bhâskara”; egli ci dette dei soldi per il viaggio verso Puttaparthi dato che né Io né Griham Abbâyî avevamo denaro. Arrivammo ad Anantapuram con notevole difficoltà. Là c’era la famiglia di un avvocato, brava gente, tutti devoti di Swami, che ci invitarono a pranzo a casa loro. Mangiammo assieme e dopo tornammo a Puttaparthi.


Ritorno a casa
Non appena entrammo in casa, Griham Ammâyî Mi prese la mano e chiese: “È ancora gonfia; Ti fa male?” Dopodiché applicò alcuni rimedi casalinghi, inclusi una pasta di crusca di riso e un impacco caldo sulla parte offesa. Povera donna! Fece del suo meglio per tirarMi su. Tutti i presenti piangevano nel vedere la Mia mano. Io dissi loro: “Non c’è niente di cui preoccuparsi; è già guarita.” Da allora decisi di stare permanentemente a Puttaparthi. Seshama Râju venne a trovarci durante le vacanze; Griham Abbâyî e Griham Ammâyî lo rimproverarono abbondantemente dicendo: “Tu hai portato con te questo ragazzo per educarLo, ma Lo sottoponi a grandi torture; che razza di educazione è mai questa? Vai via! Non ti daremo neppure del cibo!”


La scuola di Uravakonda
In seguito, Seshama Râju fu trasferito a Uravakonda e Mi prese ancora con sé per iscriverMi alla scuola superiore locale; c’erano dei buoni insegnanti, specialmente shrî Tammiraju e un altro che si chiamava H.S.Ramana e ci insegnava l’inglese. Egli era così affezionato a Me che soleva portarmi a casa sua. Non soltanto questi due, ma tutti gli insegnanti Mi erano molto affezionati perché ero un bravo cantante, con una voce melodiosa. Un giorno Mi misero sul palco durante una celebrazione e Mi chiesero di cantare una canzone. Io cantai questa:

“Prendete una verdura a vostra scelta, soltanto un anna a misura.
Prendete dei brinjal: sono molto saporiti.
Il pozzo era profondo e attingere acqua era difficile;
anche la vita a Uravakonda è stata difficile da dimenticare.”

Tutti gli insegnanti apprezzarono il canto e si congratularono con Me per averlo eseguito. In seguito Mi chiesero di cantare la preghiera giornaliera all’assemblea della scuola e Io cantai quanto segue:

“Di momento in momento, il Tuo richiamo echeggia;
udendo le Tue parole nobili, gli Indù, i Buddisti, i Giainisti, i Parsi, i Mussulmani e i Cristiani
vengono al Tuo trono da est e da ovest formando una ghirlanda d’amore.
Salute a Te, che unisci tutta l’umanità! Salute a Te,
che controlli il destino di Bhârat! Salute a Te! Salute a Te!”

Questo era il canto di preghiera che Io cantavo tutti i giorni alla riunione della scuola. Gli insegnanti stavano alla Mia sinistra e alla Mia destra durante l’assemblea e versavano lacrime di gioia durante il canto melodioso. Avevo un’eccellente voce.

 

L’inizio della Missione
Un giorno annunciai alla gente intorno a Me che era tempo che Io lasciassi la scuola e la casa, e iniziassi la Mia Missione di alleviare le sofferenze dell’umanità. Rivelai già la Mia vera natura in questo modo:

“Sappiate che, in verità, Io sono Sai.
Abbandonate le relazioni terrene, cessate gli sforzi di trattenerMi.
L’attaccamento terreno non può più legarMi.
Nessuno, per quanto grande, può trattenerMi.”

Incapaci di sopportare la separazione da Me, tutti piansero forte. Il preside della scuola, Lakshmipathi, sospese le lezioni per quel giorno. Tutti, gli insegnanti, gli studenti e il pubblico, si addolorarono molto per la Mia decisione di lasciarli. Il giorno dopo, a un ragazzo mussulmano fu chiesto di salire sul palco e cantare la preghiera; anch’egli era un buon cantante e aveva una voce melodiosa, ma, incapace di sopportare la separazione da Me, si commosse e pianse irrefrenabilmente appena salì sul palco. Egli si sedette a terra esprimendo la sua impossibilità a intonare la preghiera che, da quel giorno, non fu più cantata; al suo posto, il preside soleva dire poche parole e concludere. Da allora abbandonai gli studi; stavo frequentando l’ottava classe, ma la gente intorno a Me pensava che avrei potuto ottenere una laurea o qualcosa di simile. Scrivevo poesie, stavo lontano dalla gente e mantenevo il silenzio. Anche quando ero a casa Mi comportavo così. Mangiavo e andavo a sederMi sulla sabbia del Citrâvatî. C’è una collina a lato del fiume dove salivo e sedevo in silenzio. Numerose persone, inclusi i bambini dei villaggi vicini e anche di Uravakonda, venivano a far visita a questo “Sai Baba”; Subbâmmâ cucinava e serviva loro del cibo ed era molto felice del suo servizio perché pensava di servire i compagni di classe di Swami.

 

I pellegrini aumentano
Da allora il numero di persone che viene a trovare Swami è enormemente aumentato. Una volta, il mahârâja di Mysore, Jayachamaraja Vodayar, venne con la sua automobile; la strada carrozzabile arrivava soltanto a Penukonda, per cui egli viaggiò in un carro trainato da buoi da là a Karnatanagapalli e proseguì per Puttaparthi a piedi. Egli Mi pregava: “Swami, perché Ti metti in difficoltà rimanendo a Puttaparthi? Per favore, vieni a Mysore e io costruirò una grande residenza per Te.” Gli dissi: “Un albero deve crescere nel luogo in cui è nato. Se viene sradicato e trapiantato altrove, non crescerà. Anche quest’albero deve continuare a vivere nello stesso luogo ove è nato.” Il mahârâja era un grande devoto; egli andava al tempio di Câmundeshvarî ogni giorno, mattina e sera, a cantare una canzone composta appositamente in lode alla Dea Câmundeshvarî.

 

La strada per il Mandir
Il mahârâja di Mysore visitò Puttaparthi in un’altra occasione. Allora era stata aperta una strada camionabile da Penukonda a Bukkapatnam ed egli telefonò al governatore dell’Andhra Pradesh dicendo: “Perché non fate una buona strada per andare a Puttaparthi? Quanti soldi vengono sprecati in progetti inutili! Per favore, decidete subito di fare una buona strada per Puttaparthi.” Il governatore dette le relative indicazioni al governo e, in seguito a una corrispondenza copiosa, fu alla fine inviato un ingegnere capo di nome Tiruvannai Iyengar a fare un’indagine per il progetto; fu pianificato di aprire una bretella diretta al Mandir evitando la Citrâvatî Road. Il mahârâja di Mysore offrì di accollarsi il costo totale del progetto. Prima dell’inizio dei lavori, il capoingegnere fece una ricognizione dell’area a bordo di un carro trainato da buoi. Egli trovò che il fiume circondava il villaggio da tre lati e soltanto il quarto era libero per la strada. Dopo essere rimasto tre o quattro giorni qui, raggiunse il Mandir attraverso quella strada sempre col carro, confermò il tracciato e dette infine istruzioni di seguirlo per stendere una strada asfaltata facendo un gran buco in una collina che ostruiva il passaggio. Alla fine, fu costruita una strada diretta per il Mandir di Puttaparthi senza toccare il fiume Citravâtî. Una volta ultimata la strada, molte persone, inclusi râja e mahârâja, cominciarono a venire con le loro famiglie. Da notare tra loro i râja di Bobbili e Venkatagiri che solevano portare delle tende per soggiornare. Il numero di persone che visitavano Puttaparthi crebbe enormemente; la gente dei villaggi vicini discuteva con loro dicendo: “Non dobbiamo anche noi avere l’opportunità di avere il darshan, lo sparshan e il sambhâshan di Swami? Egli è forse soltanto per i râja e i mahârâja?” Li tranquillizzavo dicendo che tutti sono Miei devoti e che Io non faccio alcuna distinzione tra ricchi e poveri.

 

Si costruiscono gli alloggi per i pellegrini
In seguito, i râja di Bobbili, quello di Trivandrum e il fratello minore di lui, che era un regista cinematografico, dotarono il posto di comodità come le case per i devoti in visita. Il precedente Primo Ministro dell’Andhra Pradesh, il defunto dottor Bezwada Gopala Reddy, costruì un ospedale a Puttaparthi; nonostante i suoi impegni come Primo Ministro, egli veniva regolarmente e continuò fino all’ultimo respiro partecipando a ogni celebrazione si tenesse a Puttaparthi. A tempo debito, milioni di devoti da tutta l’India e da tutto il mondo cominciarono a venire qua.

 

Madre Sai
Di fatto, Io non sono sceso per pronunciare discorsi su qualche forma particolare di Dio; la Divinità è soltanto una, quali che siano il Nome e la Forma che la gente Gli attribuisce. Lo scopo è uno e l’Amore è uno. I Nomi e le Forme possono essere diversi; alcuni possono riferirsi alla Divinità come Âtma, altri come Aum; eppure i due sono identici. I Nomi Râma, Krishna, Govinda, Nârâyana ecc. possono essere diversi, ma Dio è uno soltanto. Voi potete meditare su qualunque nome, ma Dio è solamente uno. Le Upanishad raccomandano di riverire la madre, il padre, il precettore e l’ospite come Dio. Prima di tutto rispettate la madre: ella è molto importante!

La tolleranza è la vera bellezza in questa sacra terra di Bhârat.
In questo Paese, il sentimento più dolce è l’amore verso la madre.

Anche se la madre e il figlio vanno in tribunale per una causa circa le proprietà, la madre dirà all’avvocato “quello è mio figlio” e il figlio dirà “ella è mia madre”. La relazione tra una persona e i suoi genitori dura nel tempo; anche dopo che il corpo fisico cessa di esistere, la relazione materna continua. Una madre è una madre; non può esserci sentimento più grande, rispettabile e dolce di quello della madre. Molti Mi scrivono delle lettere chiamandoMi “Madre Sai”; essi si riferiscono a Me come alla loro venerata madre e anch’Io Mi rivolgo a tutti voi come “figli”.

 

Prashânti Nilayam, 27 settembre 2009,
Sai Kulwant Hall
Festività di Dasara
(Tradotto dal testo in inglese pubblicato da: www.sathyasai.org)