Discorso Divino
Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba
1 Ottobre 2006
Coltivare pensieri sacri e nobili
Incarnazioni dell'Amore!
Molte signore sono ansiose di ascoltare il Discorso di Swami in telugu. Esse si sono espresse così: “Gli studenti sono molto istruiti e parlano correntemente in inglese di argomenti tecnici e ingegneristici. Swami li incoraggia molto in questa direzione. Noi invece non riusciamo a comprenderli e siamo molto felici di poter ascoltare il Discorso di Swami in semplice telugu.”
“Più dolce dello zucchero, più saporito del curd,
più dolce perfino del miele è il nome di Râma.
La costante ripetizione di questo dolce Nome
concede il gusto del nettare divino stesso.
Per questo motivo, si dovrebbe incessantemente ripetere il Nome di Râma.”
Incarnazioni dell'Amore!
Il Paese di Bhârat è antico e ha una storia gloriosa. Non esiste villaggio indiano dove non ci sia un tempio dedicato a Râma. Ovunque andiate, incontrerete sempre qualche persona con il Nome di Râma. Fin dai tempi più antichi, il Râma Nâma ha sempre brillato in lungo e in largo in tutto il Paese di Bhârat, senza mai subire alcuna modifica. Gli âstika (i teisti, i credenti), i nâstika (gli atei) e gli âstika nâstika (i teisti atei) cantano tutti il Nome di Râma. Per esempio, quando una persona si alza dalla sedia, pronuncia il Nome “Râma”. Il Râma Nâma è molto popolare nella vita quotidiana della gente di Bhârat. Non solo qui da noi, ma perfino in Cina il Râma Nâma è diventato popolare. Di fatto, il Râma Nâma è diffuso in tutto il mondo.
Uno speciale dolce budino
Il re Dasharatha, per molto tempo, non ebbe figli, sebbene avesse tre mogli. Era molto fiducioso nel fatto di generare un figlio tramite una qualunque delle tre mogli, accrescendo in tal modo la sua stirpe. Rimase però deluso. Fece quindi grandi penitenze per avere un figlio maschio. Allora come oggi, solo attraverso tapas (una penitenza) si poteva ottenere la realizzazione dei propri desideri. Egli celebrò pure il Putrakâmeshti Yâga(1), assieme alle sue tre mogli. Alla conclusione dello yâga , lo Yajña Purusha (la Divinità del rito sacrificale) apparve di fronte a lui, porgendogli un vaso contenente il pâyasam (budino dolce). Egli disse al re Dasharatha: “Caro figlio Dasharatha! Distribuisci questo pâyasam alle tue tre mogli in egual misura.” Dasharatha si comportò secondo quanto gli era stato chiesto.
Questi fatti sono descritti in modo un po' diverso in alcuni testi. Si racconta che il re Dasharatha non distribuì il pâyasam in egual misura alle sue tre mogli. Tuttavia, ciò non è corretto. Egli si fece portare tre coppe d'oro e le riempi di pâyasam in egual misura, alla presenza del Saggio Vashishta. Successivamente consegnò una coppa a ciascuna delle mogli, Kaushalyâ, Sumitrâ e Kaikeyî. Il Saggio Vashishta le benedisse dicendo: “Possa il vostro desiderio essere esaudito!” Le regine furono tutte felici e portarono le rispettive coppe nelle loro stanze di preghiera.
Tuttavia Sumitrâ aveva dei pensieri diversi sul fatto di procreare un figlio. C'era una valida ragione che disturbava la sua mente. Quando il re del regno di Kekaya diede sua figlia Kaikeyî in moglie al re Dasharatha, ottenne la promessa che solo il figlio nato da quel matrimonio avrebbe un giorno governato il regno di Ayodhyâ. Dasharatha accettò questa condizione e sposò Kaikeyî; quindi non avrebbe mai potuto rimangiarsi la parola data. La regina Kaikeyî era di conseguenza molto felice che, il figlio cui avrebbe dato i natali, sarebbe diventato il futuro re di Ayodhyâ. Quanto a Kaushalyâ, era molto felice e sicura che il figlio che sarebbe nato da lei sarebbe stato di sicuro incoronato dal re Dasharatha, perché ella era la prima delle tre mogli. Così, sia Kaushalyâ sia Kaikeyî erano felici.
Sumitrâ non nutriva invece alcuna speranza. Ella si lavò la testa e andò al piano superiore per asciugarsi i capelli. Come saprete, in quei giorni non esistevano gli asciugacapelli. Mise poi la sua coppa di pâyasam sul muretto della terrazzo e si predispose ad asciugarsi la testa. In quel momento, un'aquila si precipitò sulla coppa, portandola via. Sumitrâ si spaventò moltissimo, ma poi pensò: “Non importa se la coppa di pâyasam è perduta. Temo solo che mio marito e il guru Vashishta mi sgrideranno per la mia negligenza.” Scese quindi immediatamente recandosi da Kaushalyâ e Kaikeyî che la stavano aspettando. Kaikeyî le chiese: “Cara sorella maggiore! Perché sei cosi turbata?” Sumitrâ raccontò quanto le era successo. A quei tempi, le mogli non si combattevano tra loro, come invece avviene oggi. Erano solite comportarsi come sorelle che si vogliono molto bene. Kaikeyî disse allora a Sumitrâ: “Cara sorella maggiore! Non preoccuparti. Ti darò un po' della mia parte di pâyasam.” Così dicendo, prese una coppa e ci versò una parte del suo budino. Kaushalyâ, che era di larghe vedute, volle anch'ella dividere parte del suo pâyasam con Sumitrâ. Poi si recarono tutte e tre dal Saggio Vashishta affinché benedicesse le tre coppe. Egli le benedisse dicendo: “Possiate voi generare figli pieni di nobili qualità, lunga vita, supremo valore e capaci di governare il regno in modo da rendere felici i propri sudditi.”
Quattro splendidi maschietti
Kaushalyâ partorì per prima un maschio. Il figlio era bellissimo e splendente. Il Saggio Vashishta decise di chiamarlo “Râma”. Era veramente molto bello, affascinante e attraente, e rendeva felici e beati tutti coloro che si recavano a guardarLo. Per questo esiste il detto:
Râmayati iti râma
“Colui che piace è Râma”.
La seconda moglie, Sumitrâ, partorì due gemelli, mentre Kaikeyî partorì un altro maschio. Il Saggio Vashishta si chiedeva stupito: “Come può essere? Kaushalyâ e Kaikeyî hanno partorito un figlio ciascuna, mentre Sumitrâ ne ha partoriti due?” Dopo aver molto riflettuto su quei fatti, con l'aiuto della sua visione yogica riuscì a comprendere che cos'era in realtà accaduto. Capì che ognuno dei due figli nati a Sumitrâ era stato originato dalle due parti di pâyasam che le erano state date rispettivamente da Kaushalyâ e Kaikeyî. I quattro fanciulli furono chiamati Râma, Lakshmana, Bharata e Shatrughna. Lakshmana era parte (amsha) di Râma, mentre Shatrughna era parte di Bharata. Sumitrâ, allora, pensò: “Se Râma diventa re, mio figlio Lakshmana dovrebbe diventare il Suo servitore. Analogamente, se Bharata dovesse diventare re, l'altro mio figlio Shatrughna dovrebbe servirlo. Io non desidero che i miei due figli possano aspirare a diventare re; è sufficiente che essi servano rispettivamente Râma e Bharata.” Tuttavia non rivelò mai a nessuno questi suoi pensieri.
Sia Lakshmana sia Shatrughna piangevano in continuazione fin dal giorno della loro nascita. Inoltre non mangiavano né dormivano. Sumitrâ non riusciva a comprendere la ragione della loro irrequietezza. Provò allora a usare vari sistemi come mantra, tantra e yantra, ma senza ottenere alcun risultato. Essi non smettevano mai di piangere.
Alla fine si rivolse al suo guru, il Saggio Vashishta, e lo pregò: “O divino guru! Io non riesco a comprendere perché i miei figli piangano incessantemente. Ti prego, spiegamene il motivo.” Il Saggio Vashishta chiuse gli occhi per qualche secondo e, con l'aiuto della sua visione yogica, provò a comprendere la ragione di quel pianto incessante . Alla fine dichiarò: “Madre! Lakshmana è parte di Râma e Shatrughna di Bharata. Quindi, ti prego, metti Lakshmana nella culla vicino a Râma e Shatrughna accanto a Bharata.” Sumitrâ, dopo avere ottenuto il permesso di Kaushalyâ e Kaikeyî, mise i suoi due bambini nelle culle, rispettivamente accanto a Râma e Bharata. Immediatamente dopo, sia Lakshmana sia Shatrughna smisero di piangere e cominciarono a giocare felicemente. Da quel momento in poi, presero il latte e dormirono in pace. Da allora Lakshmana seguì sempre Râma come un'ombra e Shatrughna seguì Bharata.
Un amore incomparabile
Dopo che la cerimonia del matrimonio di Râma, Lakshmana, Bharata e Shatrughna fu terminata, Bharata andò in casa dello zio materno (re di Kekaya). Shatrughna lo seguì. Nel frattempo, ad Ayodhyâ, Râma si stava preparando a partire per i Suoi 14 anni di esilio nella foresta, così come Gli era stato ordinato da Suo padre, il re Dasharatha. Sîtâ e Lakshmana lo seguirono spontaneamente.
Così, visto che Lakshmana seguiva Râma e Shatrughna si muoveva in compagnia di Bharata, la gente pensò che le due coppie si fossero separate. In realtà, l'amore reciproco tra i quattro fratelli era incomparabile.
Per non aver prestato ascolto alle parole di Lakshmana
Durante l'esilio nella foresta, mentre Râma, Lakshmana e Sîtâ girovagavano, si imbatterono improvvisamente in un âshram (romitaggio) . Avendolo chiesto, seppero che apparteneva al Saggio Agastya. Egli e i suoi discepoli diedero loro un caloroso benvenuto; essi ringraziarono di cuore e chiesero di poter visitare il loro âshram . Nel corso dei colloqui che seguirono, il Saggio Agastya li informò: “Râma! Tu non puoi stare a Tuo agio in questo âshram. Qui vicino c'è una foresta chiamata Dandakâranya. Lì potrai sistemarTi meglio e anche madre Sîtâ potrà esser felice, senza avere eccessivi problemi. Per mangiare avrai a disposizione una gran varietà di frutta. Il sacro fiume Godâvarî scorre lungo quella foresta. Va' quindi là e costruisci un âshram dove potrai vivere serenamente.” Seguendo i suggerimenti del Saggio Agastya, Sîtâ, Râma e Lakshmana costruirono un piccolo parnashâlâ (una capanna di foglie) sulla riva del fiume a Pañchavatî, una zona della foresta Dandaka, e cominciarono a vivere lì serenamente.
Varie tipi di animali erano soliti aggirarsi intorno all' âshram. Un giorno a Sîtâ capitò di vedere un cervo d'oro nei pressi del loro parnashâlâ . Era estasiata da tanta bellezza. Come poteva Sîtâ, che aveva lasciato i suoi ornamenti d'oro ad Ayodhyâ, per seguire Râma nella foresta, desiderare tanto quel cervo d'oro? Ella pensò per un attimo e giunse alla conclusione che si fosse trattato solo di un'illusione. Ma il destino è invincibile! Pur sapendo che non poteva esistere un cervo d'oro, ella chiese a Râma di catturarlo e di portarglielo, in modo da potercisi svagare. Ella pregò: “Râma! Com'è bello quel cervo! Se Tu potessi prenderlo e portarmelo qui, nel nostro parnashâlâ , io potrei giocarci e trascorrere felicemente un po' del mio tempo. Quando Tu vai in giro per la foresta, io resto sempre sola nel parnashâlâ. Perché non mi accontenti e mi rendi felice?” Râma disse: “Certamente, la tua felicità è la Mia gioia.” Cosi dicendo, si mise in movimento per catturare il cervo d'oro. Lakshmana, allora, consigliò Râma: “Caro Fratello maggiore, si tratta di un animale molto strano. Non può esistere un cervo d'oro. Io credo che qualche demone abbia preso quella forma di cervo d'oro per imbrogliarci e ingannarci. Non dovresti andare a prenderlo. Ci andrò io.” Tuttavia Sîtâ insistette dicendo che solo Râma avrebbe potuto catturarlo. Così lavorava la sua mente in quei momenti cruciali! Assecondando la richiesta di Sîtâ, Râma inseguì il cervo per catturarlo. Dopo essersi alquanto allontanato, Râma scoccò una freccia verso l'animale colpendolo, e, il demone che aveva assunto quella forma, tornò alle sue vere sembianze e gridò: “Ah, Sîtâ! Ah, Lakshmana!” e morì istantaneamente.
Sîtâ, che era lontana da quel luogo, udì quella voce e la scambiò per quella di Râma. Disse allora a Lakshmana: “O Lakshmana! Ti prego, vai immediatamente ad aiutare Râma. Sento che è in difficoltà e ha bisogno del nostro aiuto. Credo che ci stia chiamando.” Lakshmana allora spiegò a Sîtâ: “Madre! Questo deve essere un trucco dei demoni. Nessun pericolo potrà mai capitare a Râma. Non scoraggiarti e mantieni il tuo equilibrio.”
Sîtâ era irritata del fatto che, nonostante le sue pressanti richieste, Lakshmana non si decidesse a correre in aiuto di Râma. Per questo lo insultò ripetutamente e arrivò persino a dire: “Desideri forse prendermi in sposa se Râma dovesse morire?” Non riuscendo più a tollerare le sue parole, Lakshmana decise di andare in cerca di Râma.
Tuttavia, prima di lasciare il parnashâlâ, disegnò una linea attorno a esso e ammonì Sîtâ: “Madre! Non sono turbato per le accuse che mi hai rivolto, ma, per piacere, non uscire da questo cerchio per nessun motivo. I demoni, gli animali, e perfino ogni tipo di insetto non possono entrare nell' âshram attraversando questa linea. Tu resta semplicemente nell' âshram .”
Avrete sentito parlare di un prodotto chiamato “Lakshmana rekhâ” (la linea di Lakshmana) che ancora oggi viene venduto al mercato. Se si traccia una linea con quel bastoncino, nessuna formica o insetto può attraversarla. Allo stesso modo, il demone Râvana, che andò all' âshram con l'intenzione di rapire Sîtâ durante l'assenza di Râma, non poté superare il Lakshmana rekhâ ed entrare nell' âshram. Egli quindi si fermò di fronte all' âshram al di qua della linea tracciata da Lakshmana e chiese la carità gridando: “ Bhavati bhiksham dehî ” ( “Rispettabile madre, fammi l'elemosina”).
Sîtâ, presa da compassione per lui, pensò: “Ahimè! Poveretto! Deve essere proprio affamato. Non è certamente bello, da parte mia, cacciarlo.” Pertanto uscì fuori, superando il Lakshmana rekhâ, per offrire cibo a Râvana. Nel momento in cui ebbe superato la linea, Râvana la fece prigioniera e la portò con sé a Lankâ. Quando Râma e Lakshmana tornarono all' âshram, capirono immediatamente che Sîtâ era stata rapita. Questo fatto li riempì d'angoscia. Nel frattempo, a Lankâ, anche Sîtâ era molto addolorata per essersi cacciata in quella penosa situazione, non avendo dato ascolto alle parole di Lakshmana.
Seduta nell' ashokavana(2) in Lankâ, ella pensava: “Uscirò mai da questa prigione? Riuscirò mai a rivedere Râma ! Oh! Mio caro cognato Lakshmana! Ti ho ripetutamente insultato. Oh, essere nobile !”
Ella diceva con rammarico: “Lakshmana! Io vengo punita per aver urtato i tuoi sentimenti.” Sîtâ passò in questo modo dieci mesi a Lankâ, senza mai guardare il volto di Râvana. Egli ricorse a moltissimi trucchi, travestendosi in mille modi e fece a Sîtâ moltissime promesse durante quei dieci mesi, ma Sîtâ fu irremovibile. Ella aborriva la sua sola presenza, e per punirlo diceva: “Vergognati! Non vali neanche un'unghia del piede di Râma.” Quando poi Râvana iniziò a parlar male di Râma, ella perse la pazienza e disse: “Râma è un uomo di grandissimo valore. È coraggioso e con una grande profondità di carattere. Tu, invece, sei un uomo meschino e di natura superficiale. Non meriti neanche di pronunciare anche il solo Nome di Râma.” Incapace di farla sottomettere ai propri voleri, Râvana lasciò quel posto, dandole dieci giorni di tempo per piegarsi ai suoi desideri.
Sîtâ viene consolata e incoraggiata
Sîtâ, tuttavia, passava il tempo con coraggio e fiducia, pensando costantemente a Râma. Rassicurava se stessa pensando che la sua coscienza era il suo testimone e che nessuno avrebbe mai potuto farle alcunché. Tra le donne appartenenti alla comunità dei demoni, che dovevano dedicarsi a sorvegliare Sîtâ nell' ashokavana, ce n'erano due di nome Ajata e Trijata. Erano le figlie di Vibhîshana, il fratello minore di Râvana. Un giorno, mentre cercavano di consolare Sîtâ, che stava piangendo, Trijata le disse: “Madre! La scorsa notte ho fatto un sogno. Ho visto una scimmia entrare a Lankâ dandola alle fiamme. Ho anche visto molto distintamente che Râma invadeva Lankâ, uccideva Râvana e ti riportava ad Ayodhyâ.” Anche Ajata consolava Sîtâ dicendo: “O madre! È tutto vero, e anch'io ho fatto un sogno simile. Non devi più preoccuparti di nulla.” Entrambe le diedero molto amore, accendendo la fede nel suo cuore. Il loro padre Vibhîshana era devoto di Râma e quindi anche le sue figlie avevano sviluppato una grande devozione verso Râma.
Così trascorsero dieci mesi. Improvvisamente un giorno a Lankâ ci fu un grandissimo trambusto. Si venne a sapere che la battaglia tra Râma e Râvana era cominciata. In pochi giorni si diffuse la notizia che Râvana era stato ucciso nella battaglia. Sîtâ si sentì molto felice al pensiero che, presto, avrebbe lasciato quel confino e sarebbe tornata alla divina presenza di Râma. Tuttavia era angosciata da un dubbio: avrebbe dovuto essere lei ad andare da Râma o attendere che Râma fosse venuto a prenderla per portarla con Sé? Mentre era assorta in quei pensieri, Râma mandò un messaggero con l'ordine di condurre Sîtâ alla Sua presenza. Tutti i vânara(3) si riunirono. Erano di mente incostante per natura, e non serve altra spiegazione a descrivere il loro comportamento. Essi danzavano e saltavano per avere un rapido sguardo di madre Sîtâ. Quando finalmente ebbero avuto il suo darshan (la sua visione), il loro cuore si riempì di gioia.
La prova del fuoco
Alla fine Sîtâ fu condotta alla divina presenza di Râma, ma Egli non le rivolse neanche uno sguardo. Chinò la testa e rimase seduto tranquillamente. Poi ordinò alle persone che erano ai Suoi ordini di preparare un fuoco, in modo che Sîtâ potesse entrarvi per dimostrare la sua castità. Râma sapeva perfettamente che Sîtâ era davvero casta e nobile, ma voleva che questo divenisse palese al mondo. Qualcuno avrebbe in seguito potuto dire: “Come ha potuto Râma prendersi indietro Sîtâ dopo che ella ha trascorso dieci mesi a Lankâ prigioniera di Râvana?” Ecco perché ordinò che Sîtâ si sottoponesse alla prova del fuoco.
Avendo compreso questa verità, Sîtâ girò intorno al fuoco per tre volte e, ripetendo il Nome di Râma, vi saltò dentro. Immediatamente dopo, apparve il Dio del fuoco e riportò Sîtâ a Râma dicendo: “O Râma! Sîtâ è una donna di suprema castità ed è la più nobile. Non è giusto che Tu dubiti della sua castità. Ti prego, riprendila con Te.” La castità di Sîtâ fu così resa palese a tutti. Questo avvenimento esalta la grandezza della Verità e della Castità.
Vibhîshana, fratello minore di Râvana, portò Sîtâ, Râma e Lakshmana, assieme a tutto il loro seguito, ad Ayodhyâ nel Pushpaka vimâna(4). L'incoronazione di Râma come re di Ayodhyâ venne celebrata con grande fasto. Durante il Suo regno, la gente di Ayodhyâ visse in pace e felicità. La storia narrata nel Râmâyana è sommamente sacra. Il Pativratâ Dharma stesso (il dovere morale e religioso di una donna casta e virtuosa) protesse le donne di quei tempi.
Questa terra di Bhârat ha dato i natali a nobili donne come Sâvitrî,
che riportò in vita il marito morto;
a Chandramatî, che spense un fuoco divampante con la forza della verità;
a Sîtâ, che diede prova della sua castità uscendo intatta dalle fiamme,
e a Damayantî che, con la forza della castità,
ridusse in cenere un malvagio cacciatore.
Questa terra di pietà e nobiltà raggiunse la ricchezza e la prosperità
e divenne maestra di tutte le nazioni del mondo in virtù della castità di tali donne.
La qualità estremamente nobile della castità è unica nella cultura di Bhârat. Non la troverete uguale in nessun'altra parte del mondo. A quei tempi, quando un uomo incontrava una donna, era solito chinare il capo in segno di rispetto. Oggi, sia le donne sia gli uomini si fermano in mezzo alla strada a fare pettegolezzi.
Segnali inquietanti di un imminente avvento
Quando si era alla fine del Dvâpara Yuga, Dharmarâja assistette un giorno a una simile scena. Si sentì molto infelice e immediatamente chiamò a raccolta i suoi fratelli esprimendo la sua pena in questo modo: “O Bhîma, Arjuna, Nakula, Sahadeva! Il Kali Yuga (l'era di Kali) è iniziato già da ieri. Mentre ero in giro per la città, ho visto una donna che parlava in pubblico con un uomo. Mi dispiace, ma non posso sopportare di esser testimone di un simile immorale comportamento.” Un altro giorno, suo fratello minore Arjuna narrò un altro fatto di cui era stato testimone: “Oggi ho visto un contadino che tornava dai campi portando il suo aratro sulla testa. Gli ho chiesto perché lo stesse facendo, dato che avrebbe potuto lasciarlo nel campo e poi tornare a casa. La risposta è stata: ‘Ahimè, swami! L'aratro non può esser lasciato lì. Se lo lasciassi nel campo, i ladri potrebbero rubarlo. Per questo motivo ogni giorno me lo porto a casa e poi lo riporto al campo il giorno dopo'.”
Un altro giorno, i fratelli Pândava si accorsero che una donna chiudeva a chiave la porta della propria casa prima di uscire. Interrogata su quel comportamento, ella rispose: “Se non chiudessi la porta della casa, qualcuno potrebbe entrare e portar via le nostre cose.” Tutti questi furono segni che annunziarono l'avvento del Kali Yuga.
Durante il tempo del Râma râjya (il regno di Râma), non c'era l'abitudine di chiudere a chiave le abitazioni o riportare a casa gli strumenti di lavoro, né le donne e gli uomini si fermavano a spettegolare sulla pubblica via. È solo a causa degli effetti dell'era di Kali che tali avvenimenti hanno cominciato a verificarsi. Per questo motivo i Pândava decisero il loro Mahâprasthâna (viaggio finale in direzione del Nord). “L'era di Kali è iniziata. Lasciateci partire”, fu la loro decisione. Essi vollero dunque tornare alla dimora celeste. I Pândava condussero una vita sacra, e, grazie a tali anime nobili e sacre, il Paese di Bhârat si è guadagnato il nome di Paese sacro.
Proteggere il Dharma con la purezza mentale
Oggi, tuttavia, tali purezza e santità sono in declino. Naturalmente esistono ancora, anche se non sono evidenti. Solo il Dharma protegge tutti! Entrambi, uomini o donne, devono proteggere il Dharma (la Rettitudine). Per farlo, la mente deve essere mantenuta salda e pura. Non dovreste mai permettere ai pensieri negativi di entrare nella vostra mente.
Ahalyâ, la moglie del Saggio Gotama, fu una grande e nobile donna e tuttavia dovette soffrire a causa di una maledizione di suo marito. In una circostanza, egli le lanciò la maledizione: “Possa tu diventare una pietra e restare nella polvere!” Solo grazie a Râma, ella poté, in seguito, superare la maledizione. Nel momento in cui i piedi di Râma toccarono la pietra, questa si trasformò in Ahalyâ. Dio può cambiare perfino una pietra in un essere umano e santificarlo. Egli può purificare ciò che è impuro. Per quanto soffriate per i vostri pensieri malvagi, nel momento in cui vi rivolgete a Dio, tutte le vostre impurità saranno cancellate. La mente è alla radice di ogni cosa, e quindi, uomini e donne, tutti dovrebbero coltivare pensieri sacri e nobili. Dovete purificare il vostro cuore. Solo così l'Umanità potrà sopravvivere. In caso contrario, essa degenererà in una natura diabolica.
(Baba ha concluso il Discorso con il bhajan: "Râma Râma Râma Sîtâ…”)
Prashânti Nilayam, 1 Ottobre 2006
Sai Kulwant Hall
Festa di Dasara
(Tradotto dal testo inglese pubblicato da: www.sssbpt.org)
1) Putrakâmeshti Yâg: lo yâga, o rito sacrificale, prescritto per coloro che desiderano procreare un figlio maschio
2) Ashokavana: letteralmente, “la foresta senza dolore”. È il nome del meraviglioso giardino di Shrî Lankâ, dove Sîtâ fu tenuta prigioniera.
3) Vânara: nome del “popolo delle scimmie” che, col suo re Sugrîva, fu alleato di Râma nella guerra di Lankâ.
4) Pushpaka vimâna: un carro volante (vimâna), chiamato “Pushpaka” (Fiore), che venne donato da Brahmâ a Kubera (il Dio della ricchezza) e che fu poi rubato da Râvana. Fu Râma, dopo aver ucciso Râvana e aver riportato ad Ayodhyâ Sîtâ e Lakshmana, a restituirlo a Kubera.
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