19960725 - 25 luglio

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Discorso Divino
Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba
Discorso del 25 luglio 1996

Sperimentare l'unità dell'uomo con Dio

“L’oceano della vita non si può attraversare con le penitenze, con i pellegrinaggi, con lo studio delle Scritture o con la ripetizione delle preghiere. Lo si può fare solamente con il servizio alle persone pie.”

Dimenticate tutte le differenze e credete nell’Unità


L’uomo non può raggiungere la meta della vita semplicemente andando nella foresta a far penitenza lasciando la famiglia, gli amici e le proprietà. Neppure ottenendo la padronanza delle sei Shâstra e ripetendo i Mantra da mane a sera si può trovare il coronamento della vita.
Al fine di attraversare l’oceano dell’esistenza terrena, che è la causa fondamentale del ciclo inesauribile di nascite e morti, bisogna servire le persone nobili e la società e riconoscere il principio di unità.
Nel mondo ci sono molti intellettuali e scienziati: hanno pace anche per un solo momento? Comprendono che cosa significhino pace e felicità? Se non si riesce a sperimentare la pace e la felicità, a che serve tutto il resto? La pace è la conquista principale della vita dell’uomo; senza di essa, la sua vita non vale niente. È per questo che Thyâgarâja cantava: “Non c’è felicità senza pace.” L’uomo può essere felice solamente quando ha la pace; se non ne ha, la sua vita intera diventa un incubo. A un cieco, tutto appare scuro; in modo simile, per quanto grandi si possa essere, il mondo non significa niente quando si dorme.
Voi non dovreste credere illusoriamente che gli occhi siano fatti per guardare tutto e tutti nel mondo; anche gli animali e gli insetti hanno gli occhi. A che servono gli occhi se non ci permettono di vedere lo Splendore Divino? Le orecchie sono date per ascoltare il Suono Divino del Pranava e la mente è intesa a ottenere la pace. Per quale ragione l’uomo non riesce a trovarla? Ci sono cinque tipi di radici della sofferenza (klesha) che fanno penare l’uomo. Avidyâ, asmitâ, râga, dvesha e abhinivesha (ignoranza, senso dell’io, desiderio, odio e paura della morte).
Che cosa si intende per avidyâ? “Vid” significa “conoscenza”, per cui avidyâ indica “la mancanza di conoscenza”. Che cos’è la mancanza di conoscenza? Non è l’ignoranza delle cose del mondo; è il non essere coscienti della propria natura divina. L’uomo si considera un mortale ignorante a causa di avidyâ e, per chi è in questa situazione, ottenere la pace è impossibile. Chi è nella morsa di avidyâ vive immerso nelle cose del mondo identificandosi con il corpo e con la mente. Egli manca della saggezza che gli riveli di essere divino. L’attaccamento al corpo e al mondo gli causano una sofferenza immensa. Questo è il risultato di avidyâ che è fonte di indicibili sofferenze per l’uomo.
La seconda radice di sofferenza è asmitâ che impedisce di riconoscere la causa fondamentale di questa vita terrena e di tutta la sofferenza a essa associata. L’uomo dimentica che la mente è la fonte primaria di tutto il suo soffrire, per cui diventa vittima dell’ignoranza e dell’illusione; egli va incontro a vari tipi di sofferenza perché è incapace di controllare la mente che provoca ogni patimento, dolore e difficoltà. Asmitâ indica l’incapacità di capire la natura reale della mente che è la causa principale di tutto il soffrire.
Un altro klesha che fa soffrire l’uomo è râga. Che cosa si intende per râga? In questo contesto, esso non indica la melodia di una canzone; desiderare questo, quello e tutto è râga. Quando i desideri diventano illimitati, râga diventa roga (malattia). L’uomo soffre perché è incapace di frenare i desideri, per cui dovrebbe cercare di controllarli; per questo si dice: “Meno bagaglio più comodità.” È a causa dei suoi desideri illimitati che egli perde la stabilità mentale, subisce l’illusione e dimentica il Principio vero ed eterno della Divinità; da qui consegue la sua enorme sofferenza. Quindi, prima di tutto, dovreste mettere sotto controllo i desideri. Finché avete desideri illimitati, non potere avere la pace. Si può avere desideri, ma entro certi limiti.

Acquisite l’equanimità
Poi viene il dvesha klesha. In tempo di difficoltà, sofferenza e perdita, l’uomo si aspetta l’aiuto di qualcuno che gli è vicino, ma, se la persona rifiuta di aiutarlo, la sua speranza si tramuta in odio. In questo mondo, sia il bene sia il male causano sofferenza; non necessariamente tutto ciò che è bene ci dà felicità e, similmente, non tutto ciò che è male causa sempre afflizione. In che modo ci dà sofferenza qualcosa di buono? Tulsidas ne dava un esempio dicendo: “Io offro i miei reverenti omaggi sia alle persone buone sia a quelle malvagie.” Voi potreste dire: “C’è un senso nel fare omaggio a una persona buona, ma qual è lo scopo di ossequiarne una malvagia?” Una persona malvagia vi fa soffrire quando la incontrate e una persona buona vi addolora quando vi lascia, per cui Tulsidas offriva i suoi omaggi ai malvagi affinché non lo avvicinassero e ai buoni perché non si allontanassero da lui.
La compagnia di un malvagio e la separazione da una persona nobile causano ambedue sofferenza. La vita umana è fatta di unioni (samyoga) e separazioni (viyoga); essa è descritta come un oceano con onde turbolente di unioni e separazioni. Chi può giudicare ciò che è bene e ciò che è male?
Quindi si deve rimanere equanimi nella felicità e nella sofferenza, nel guadagno e nella perdita, nella vittoria e nella sconfitta come insegna la Gîtâ. Trattate la felicità e l’afflizione con equanimità. Al fine di ottenere la pace, voi dovreste mettere in atto l’equanimità; non considerate qualcuno malvagio e qualcun altro buono. Vedete Dio in ambedue. Lo stesso Âtma è presente in tutti e due; questo è il sentimento di Unità e Divinità. I corpi sono diversi, le tendenze delle menti sono diverse, ma la Divinità è Una, è la stessa in tutti.

Identificatevi con il Sé
I nomi e le forme possono variare, ma la Divinità non cambia. Finché si osservano le differenze non si può ottenere la pace ed è per questo che Tulsidas diffuse il principio dell’unità. Egli considerava Dio insito in tutti gli esseri e sperimentò l’unità. Io vi dico spesso che voi non siete una persona, ma tre: quella che pensate di essere, quella che gli altri pensano che siate e quella che siete veramente. La prima è la rappresentazione dell’identificazione col corpo, la seconda dell’identificazione con l’anima individuale e la terza con Dio. Tutte le religioni, il cristianesimo, l’islam, il jainismo o il sikhismo, proclamano la stessa verità. Gesù prima disse: “Io sono il messaggero di Dio”, poi: “Io sono il figlio di Dio”, e, nella terza fase, dichiarò: “Io e il Padre Mio siamo uno.” La stessa verità è espressa nelle affermazioni: “Io sono nella luce, la luce è in me, Io sono la luce.” L’essenza e lo scopo di tutte le religioni sono gli stessi. Dio è Uno ed è lo Stesso per tutti; perché dovrebbero quindi esistere differenze, conflitti e polemiche? Sono tutti segni di ignoranza. Solamente le persone sciocche, che non comprendono il significato reale della Divinità, creano disordini e conflitti simili. Perciò, non considerate differenze di sorta e non criticate alcuna religione o pratica spirituale. Tutti hanno il diritto di seguire la strada che scelgono e sperimentare la gioia. Quando a ognuno è concessa la libertà di seguire a modo suo la religione che preferisce, si può fare esperienza della Divinità.

Non siate interessati ai difetti degli altri

Come potete dare pace agli altri se non ne avete voi? Quindi dovete prima ottenere voi la pace e poi diffonderla in casa e nel villaggio. In questo modo dovreste gradualmente diffondere la pace dovunque. Essere in pace dentro e fuori: questa è vera pratica spirituale.
Inoltre, non acquisite una mentalità ristretta, e non cercate di valutare il bene e il male negli altri; sviluppate la vostra bontà e salvaguardate la vostra purezza. Questo deve essere lo scopo. Se invece cercate la malvagità negli altri, ne sarete contagiati. Ecco un esempio a questo riguardo: voi avete una macchina fotografica e volete fare una foto a qualcuno davanti a voi. Quando mettete a fuoco le lenti su di lui e premete il pulsante, catturate la sua immagine; in modo simile, quando focalizzate le lenti della vostra visione sulla malvagità degli altri e premete il pulsante di buddhi (intelletto), la loro malvagità entra in voi. Di solito, si fotografano le persone che ci piacciono, per cui, dato che vi piacciono le persone buone, mettete a fuoco la mente soltanto su di loro; allora i vostri sentimenti diverranno simili. Non interessatevi quindi alla malvagità degli altri perché, se lo fate, voi stessi diverrete malvagi.

Yad bhavam tad bhavati
Come sono i sentimenti, così sarà il risultato.

Sviluppate il senso di unità e fate esperienza della Divinità
Una volta le gopî andarono da Râdhâ e dissero: “Tu pensi sempre a Krishna e puoi diventare Lui come conseguenza di questa meditazione continua. Quando Râdhâ diventa Krishna e non c’è dualità; che gioia puoi provare?” Ella rispose: “O gopî, pensando costantemente a Krishna, io posso diventare Lui; nello stesso modo, Krishna può diventare Râdhâ pensando continuamente a lei. Anche allora ci sono sia Râdhâ sia Krishna.” Quindi, quando voi pensate a Dio, anch’Egli pensa a voi. In questo modo, voi create Dio. Chi crea Dio? Il devoto crea Dio e Dio crea il devoto; che cosa c’è allora in comune tra Dio e l’uomo? C’è il potere di creare. Anche l’uomo ha il potere di creare come lo ha Dio; il potere di creare è uguale in ambedue. Cercate di fare l’esperienza della Divinità comprendendo questo principio di unità; dimenticate tutte le differenze e abbiate fede nell’unità.

Brahmavid brahmaiva bhavati
Colui che conosce Brahman diventa Brahman veramente.

Tutti sanno di dover morire un giorno o l’altro, eppure ognuno vuole aggrapparsi alla vita e nessuno vuol morire; questo è dovuto ad abhinivesha klesha che affligge l’uomo. Qual è la causa principale della sofferenza dell’uomo? Sono i desideri. Voi diventate vittime dei vari klesha quando dimenticate la vostra natura reale e focalizzate la mente sul mondo. Contentatevi di ciò che avete; perché vi angustiate per qualcosa che non avete? La vostra vera sâdhanâ consiste nel non anelare a cose che non avete. Come potete ottenere la felicità se non siete soddisfatti di ciò che avete e bramate continuamente ciò che non avete? Siate quindi contenti di ciò che avete e dividetelo con gli altri. Acquisite un’apertura mentale di questo tipo. In questo vasto mondo, anche l’uomo dovrebbe avere una mente vasta. Chi non ha apertura mentale non è affatto un essere umano; quindi allargate il cuore. Come si può fare? Bisogna riempirlo d’amore. Se riempite il cuore d’amore, non sarete importunati da nessun klesha, avrete il potere di affrontare tutte le sfide e andare avanti.

Colmate il cuore d’amore

Molti Mi pregano di dar loro un cuore grande. Ora, che cosa significa la parola “cuore”? Essa non indica il cuore fisico. Se il vostro cuore fisico si allarga, vi ammalate e dovete operarvi, per cui tra il cuore fisico e quello spirituale c’è una grossa differenza. Il cuore fisico è come l’interruttore principale della residenza che è il corpo umano; è solamente l’interruttore principale, non la “corrente”. Allora dov’è la corrente?

Nîlatoyadamadhyasthad vidyullekheva bhasvara
Brillante come un fulmine tra le nuvole blu scure cariche di pioggia.

Dov’è questo vidyullekhâ? Questo potere splendente è presente nella colonna vertebrale ed è chiamato anche sushumnâ (arteria “sottile” centrale). È da questo sushumnâ che la corrente entra nell’interruttore principale che è il cuore; se non lo sapete, potete indagare voi stessi. I medici fanno operazioni al cuore; se pensate che il principio vitale sia nel cuore fisico, dove va quando il cuore viene operato? Dato che la vita non è presente nel cuore, durante le operazioni si usa la macchina cuore-polmone. Il Cuore Spirituale (Hridaya) non è limitato al corpo; è presente dovunque. Esso pervade tutto il corpo, altrimenti come potreste accorgervi che una formica vi sta camminando su un piede? Il cuore fisico è situato in una posizione precisa del corpo, mentre quello spirituale lo pervade interamente. Il primo aiuta la circolazione sanguigna, ma non ha il controllo del principio vitale.

Il Nome di Dio è la panacea
Studenti!
Qualunque difficoltà dobbiate affrontare, pensate costantemente a Dio e rimanete sereni. Siate sempre contenti. Tutte le difficoltà sono come nuvole passeggere, vengono e vanno; nel mondo non ci sono nuvole permanenti. Comprendete questa verità e usate il tempo per meditare su Dio senza dare spazio alle preoccupazioni. In tempo di difficoltà, voi dovreste effettivamente pensare a Dio sempre di più. Molti criticano e insultano Dio quando devono affrontare le difficoltà e dicono: “Non ha occhi? Non vede i miei problemi? Non ha orecchie? Non sente i miei lamenti?” In realtà, voi dovreste pregare Dio più sentitamente quando siete immersi nelle difficoltà. Un sâdhaka dovrebbe rimanere concentrato nella sua sâdhanâ dovunque sia. Un paziente deve necessariamente prendere sempre le medicine, sia a casa o all’ospedale. Egli non può dire: “Sono già in ospedale; perché prendere delle medicine?” Allo stesso modo, voi dovreste meditare su Dio tanto nei tempi di gioia come in quelli di sofferenza; soltanto allora il Nome Divino diverrà il rimedio di tutte le vostre malattie.

(Bhagavân ha concluso il Discorso con il bhajan: “Shivâya Paramesvarâya…”).

Prashânti Nilayam, 25 luglio 1996,
Sai Kulwant Hall.

(Da “Sanâtana Sârathi”, novembre 2012)