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20020523 - 23 Maggio

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Discorso Divino
Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba
23 Maggio 2002

La silente risata

 

“Un tronco d’albero può essere raddrizzato
e reso senza curvature.
Una pietra può essere modellata adeguatamente.
Potete voi modellare una mente e renderla senza curvature (inclinazioni)?
La parola di Sai è parola di Verità.”

 

Incarnazioni dell’Amore!
Il nostro direttore (dell’Istituto Sathya Sai), Mi ha chiesto di parlare dei tre âkâsha. Quali sono?

Âkâsham, gaganam, shûnyam
Lo spazio, il cielo, il nulla.

Il significato di ciò è: “Non dire niente!” (Risate).
Tutto ciò che può essere visto dagli occhi, ascoltato dalle orecchie, pensato dalla mente, ciò che sostiene l’esistenza ed è oltre le parole, è tutto relazionato all’âkâsha (lo spazio). E non si tratta solo di ciò che possiamo vedere sulla terra: anche il sole, la luna, le nuvole e le stelle in cielo sono relazionati all’âkâsha.
Non esiste, però, un solo âkâsha. Ce ne sono tre:

Bhûtâkâsha - Chittâkâsha - Chidâkâsha

Tutte le cose che sono presenti su questa terra e le stelle nel cielo, non solo le stelle che vediamo, ma anche moltissime altre che non possiamo vedere, sono tutte relazionate a bhûtâkâsha.
Bhûtâkâsha si estende per moltissime migliaia di miglia. La distanza fra il sole e la luna è di 91.100.000 miglia. Oltre alla terra, ci sono moltissime altre cose da vedere. I corpi celesti più vicini a noi sono il sole e la luna, ma, al di là di essi, ne esistono molti altri. Ci sono altri soli grandi quanto il nostro. Sembrano piccoli perché sono molto lontani, ma ognuno di essi è un sole. Il sole e la luna donano luce al mondo, a numerose persone e a numerose forme di vita.
A che velocità viaggia la luce delle stelle? In un attimo, la luce percorre 160.000.000 di miglia. Nonostante ciò, fino ad oggi, la luce di molte stelle non ha ancora raggiunto la terra. La luce di alcune stelle non ha ancora raggiunto la terra.
La luce delle stelle è brillantissima, tanto che le forme di vita della terra non riescono né a sostenerla né a guardarla. Quelle luci splendono con grande fulgore. Questo è il motivo per cui il sole manda sulla terra solo una piccola parte del suo splendore.
La luce che le stelle, il sole e la luna diffondono, non è la loro, ma deriva da un potere di base. Esiste una luce di base. È infatti attraverso Âtma Shakti (il Potere dell’Âtma – N.d.T.) che il sole, la luna e anche le stelle brillano. Tutto ciò è contenuto in bhûtâkâsha (il piano fisico – N.d.T.).
Che cos’è chittâkâsha?
Anche se tutto ciò che è visibile è bhûtâkâsha, non si può dire che tutto ciò che è invisibile sia chittâkâsha. C’è infatti un potere che splende, un potere invisibile, non udibile, sconosciuto: è chidâkâsha.  
Ogni cosa, tutte le forme in bhûtâkâsha, sono riflesse in chittâkâsha.
Tutto ciò che vediamo, si riflette infatti nel nostro cuore. L’âkâsha del cuore è sottile ed è chiamato chittâkâsha. La parte di bhûtâkâsha percepibile dai nostri occhi si diffonde per molte migliaia di miglia.
Le stelle, che irradiano la loro luce così lontano e tutte le altre cose (bhûtâkâsha), si trovano nella loro forma sottile in chittâkâsha, nel quale si trovano anche le forme riflesse da chidâkâsha.
Chittâkâsha, dunque, riflette contemporaneamente sia bhûtâkâsha sia chidâkâsha.
Ora: abbiamo appena guardato una montagna. Chiudete gli occhi e, l’immagine della montagna che prima s’innalzava maestosa davanti a voi, rimane nel vostro chittâkâsha (la mente – N.d.T.).
Questo bhûtâkâsha, quindi, così come il riflesso delle centinaia di migliaia di stelle viste nel cielo, rimane nel vostro chittâkâsha.
Nessuno può definire bhûtâkâsha, affermando che sia in questo o quel modo. Ci è tuttavia possibile indagare in parte su chittâkâsha. Qualsiasi forma, l’universo intero, tutti i mondi sono presenti in forma minuscola in chittâkâsha. Tutto, dunque, si riflette nella vostra mente. Ogni riflesso è un riflesso di bhûtâkâsha. Per bhûtâkâsha s’intende tutto ciò che è visto fisicamente, mentre, per chittâkâsha, s’intende tutto ciò che è visto nella propria mente.
Il terzo âkâsha è chidâkâsha.
Che cos’è chidâkâsha? Viene chiamato Âtma, il quale non ha forma ed è completamente immobile. L’Âtma è:

Senza attributi, incontaminato, eterno, rifugio supremo,
permanente, puro, cosciente, libero, incarnazione della sacralità.

Questo è chidâkâsha. Colui che vede chidâkâsha, è colui che sperimenta l’Âtma. La forma di chittâkâsha può essere vista anche senza istruzione o titolo di studio, mentre, per quanto sforzo venga compiuto, di chidâkâsha non è possibile vedere nemmeno il riflesso.
Se si guardano le stelle, si nota che alcune di esse sono distanti dalla terra 900.000 miglia. Alcune invece sono talmente lontane, che non è possibile stabilirne la distanza. Sono davvero lontanissime.
Oltre la portata della mente e della parola.

 

Ciò che realmente siete
Persino gli scienziati hanno compiuto molti sforzi per scoprire il valore di chidâkâsha, ma, per quanto abbiano fatto, sono stati in grado di arrivare solo fino a chittâkâsha, senza però poter toccare chidâkâsha. È infatti detto che, vedere chidâkâsha, equivale a vedere l’Âtma.
Tutte le cose che si vedono in questo mondo, appartengono a bhûtâkâsha. Il Vedânta fu incapace di descrivere appieno chidâkâsha. Anche la scienza non è in grado di farlo. L’unico fu il Vedânta, che però riuscì a dare una definizione solo parziale.
Chittâkâsha racchiude bhûtâkâsha, mentre chidâkâsha racchiude chittâkâsha. Se vogliamo comprenderlo meglio:

  1. Ciò che credete di essere (il corpo fisico). Questo è bhûtâkâsha. Ossia, qualunque cosa siate in grado di vedere, qualsiasi forma siate in grado di descrivere e qualunque esperienza facciate, tutto questo è “ciò che credete di essere”.
  2. Ciò che gli altri pensano che voi siate (la mente). Questo è chittâkâsha. Tutto ciò a cui pensate, lo ricordate nella vostra mente. Ciò che va oltre chittâkâsha è:
  3. Ciò che realmente siete (l’Âtma). Questo è l’Âtma, la vera forma di Prakriti (la Natura). È Beatitudine Divina. Non esiste differenza fra la beatitudine, il riflesso e la parola “Io”.

 

La parola “Io”
La parola “Io” non è legata altro che all’Âtma. La parola “I” (“Io”, in inglese – N.d.T.) è composta da una sola lettera. Per questo nei Veda è detto:

“Dio è Uno, benché i saggi Lo chiamino con vari nomi.”

Se per esempio chiamo Anil Kumar, egli, che è al Mio fianco, dirà: “Sono io.” Se viene chiamato il nome di Girigaru, egli risponderà: “Sono io.” Di questo passo, se vengono chiamate alcune centinaia di migliaia di nomi, ci sarà una sola risposta: “Io, io, io.”
“Io” è l’elemento di unità nelle diversità. L’unità nella diversità è la natura dell’Âtma. Non è possibile dire che l’Âtma sia il cielo o la terra o qualsiasi altra cosa.
Com’è l’âkâsha? È infinito, incommensurabile e non apparente. Chi può descrivere qualcosa del genere? Nessuno può pronunciarsi a proposito di questa forma infinita. Tutti gli eruditi dicono:

“Lo spazio, il cielo, il nulla.”

L’âkâsha è il cielo. Che cosa vediamo in esso? Delle nuvole. Ma per quanto tempo? Solo per un po’. Poi spariscono, se ne vanno.
Chidâkâsha, ossia l’«Io», non può essere assolutamente visto. Nessuno può definire la parola “Io”. Il Vedânta dichiara che tale unità è presente in ogni cosa. La parola “Io” testimonia l’unità.
Aham brahmâsmi (Io sono Brahma). Notate come la parola Brahma venga dopo la parola “Io”. Le altre parole vengono sempre tutte dopo la parola “Io”.
L’Âtma viene dopo la parola “Io”. Senza tale parola, non è possibile per la parola Âtma seguire.
Aham, aham: Aham brahmâsmi. Brahma deriva dall’«Io». Aham è dunque l’«Io», l’importante natura dell’Âtma.
Per quanti libri di terminologia vedantica vengano letti, per quanta scienza venga appresa, il consiglio da dare a ognuno è di scoprire: “Chi sono io?” “Mio caro, scopri chi sei.” L’«Io» non può essere descritto attraverso le parole, l’erudizione o la conoscenza del mondo.

 

L’Âtma non ha nome
Quando qualcuno chiede: “Signore, chi siete?” “Io sono Anil Kumar”, viene risposto. Ma chi ha dato il nome Anil Kumar? È il nome dato dai vostri genitori al corpo.
Prima che vi venisse dato un nome, come vi chiamavate? Non si sa. Tutto, perciò, è qualcosa che viene attribuito alla nascita e non qualcosa che è nato con voi. Allo stesso modo, il nome viene dato dopo la nascita e serve solo come segno di riconoscimento, non per determinare la (vostra) forma di Verità.
L’Âtma non ha nome. Aham, aham, aham, aham, aham, aham. Aham è la vera natura dell’Âtma, dal quale non esiste forma separata. Comunque, se vogliamo descriverlo in modo concreto (fisico), riconoscibile, lo chiamiamo bhûtâkâsha.
Anche chittâkâsha può essere in parte indagato. Esso è il riflesso di bhûtâkâsha, mentre chidâkâsha non ha alcuna forma. Poiché è privo di qualunque forma, come possiamo dire che ne abbia una? Per questo viene detto “Io, Io.”
In ogni argomento o nella terminologia vedantica, nessuno ravvisa chiaramente il significato di “Io”. Che cos’è l’«Io»? È l’ego? Ma l’ego ha una forma (il corpo) - non è vero? - mentre il vero “Io”, non ce l’ha.
L’«Io» è senza forma e il Vedânta lo spiega con molti termini.
L’«Io» non è bhûtâkâsha; aham (l’«Io») non ha forma, aham non ha suono. La natura di aham è priva di qualunque forma o suono.
Qualcuno può dire: “Signore, conoscete voi stesso e poi tornate (a dirmi chi siete).”
Il giorno dopo la persona torna e dice: “L’ho scoperto, signore.”
“Allora chi siete?”
“Il mio nome è Ramayya.”
Se viene chiesto la seconda volta: “Chi siete?” verrà risposto: “Il nome di mio padre è Malayya.”
“Come si chiama vostra madre?”
“Pullâmmâ.”
Yellâmmâ, Pullâmmâ, Ramayya, Annayya...: egli dirà nomi simili. Questi nomi, però, non indicano affatto ciò che voi siete, ma sono solo attinenti al vostro corpo. Sono unicamente parole (nomi) che vengono dette soprattutto nei villaggi, e che si usano durante le presentazioni. Sono nomi creati appositamente per voi, ma non sono i vostri (veri) nomi.
La parola con la quale siete nati è una sola: “Io”, l’Âtma. Il termine Âtma e il termine “Io” si equivalgono. L’Âtma non ha una forma specifica. Io, io, io, io: se cercate di riconoscere la natura dell’«Io», non avete bisogno di altre pratiche spirituali.
“Io sono Ramayya.” Perché (nella frase) la parola Ramayya è posta dopo? Viene solo dopo l’«Io». In realtà dopo di esso non dovrebbe esserci niente, poiché è Uno e voi dovreste riconoscerne la natura. Questo è il grande segreto del Vedânta.
Bhûtâkâsha, chittâkâsha e chidâkâsha. Bhûtâkâsha è pieno di forme, si muove, si scuote, viaggia e lo si vede direttamente. Il suo riflesso è (contenuto in) chittâkâsha. Tutto in chittâkâsha è solo una sorta di riflesso che non costituisce il vero âkâsha. Vero âkâsha è quello privo di reazione, riflesso ed eco, ossia chidâkâsha. Non ci si può riferire alla natura di chidâkâsha dicendo che possiede nome e forma.

Il venditore di braccialetti
Una volta, in Uttar Pradesh (stato del Nord dell’India – N.d.T.), un uomo stava vendendo braccialetti sulle rive del fiume Gange. Improvvisamente dall’acqua emerse un braccio, e una voce femminile disse: “Signore, mettereste dei braccialetti al mio polso?”
“Certamente sì”, rispose il venditore. “Mettetemeli secondo la misura della mia mano.” Così fece il venditore.
Dopodiché la voce disse: “Non ho soldi con me, ma ho del denaro nella tal casa, (che si trova) nella tale strada, al tale numero, in un certo angolo della stanza. Andate da mio padre e chiedete a lui.” Con queste parole, scomparve.
Ma prima che se ne andasse, il venditore le chiese: “Madre, come vi chiamate? Se vostro padre me lo chiede, devo essere in grado di dirglielo.”
“Ditegli che mi chiamo Gangâ (la Dea del fiume Gange – N.d.T.).”
Il venditore arrivò all’indirizzo indicato, trovò la casa e disse al proprietario: “Signore, vostra figlia è venuta sulle rive del fiume e ha comprato dei braccialetti.”
L’uomo rispose: “Non sono nemmeno sposato! Come posso avere delle figlie?!”
“No, la donna ha detto la verità”, spiegò il venditore. “Le indicazioni che mi ha fornito erano vere. Anche l’indirizzo è corretto. Ha persino detto come vi chiamate. Non vi chiamate così?”
“Sì”, rispose l’uomo.
“Dunque, perché il resto dovrebbe essere falso? Andate a guardare nell’angolo della stanza.” L’uomo addirittura ignorava l’esistenza di quell’anfratto; tuttavia vi trovò esattamente la somma che serviva e, con essa, pagò il venditore.
Sapete chi era quell’uomo? Era un grande devoto della Dea Gangâ che adorava ogni giorno. Per questo disse al venditore: “Signore, contemplo costantemente la Dea Gangâ; Ella è la Divinità che adoro ogni giorno. Non mi sono sposato perché mi sono votato completamente a Lei. Poiché la donna uscita dall’acqua ha detto di chiamarsi Gangâ, andiamo insieme a controllare. Portatemi da lei.”
Arrivarono sul luogo dell’incontro e il venditore disse: “Madre, ho potuto vederti quando ti ho messo i bracciali. Perché però ora non posso vederti? Ho ricevuto i miei soldi; sono dunque tornato a ringraziarti.”
Gangâ rispose: “Ecco qui il segno della Mia gratitudine.” Con queste parole, fece emergere dall’acqua il braccio, ornato di bracciali.
Quando anche l’uomo che accompagnava il venditore lo vide, si mise in adorazione, esclamando: “Gangâ, Gangâ, Gangâ...” Ma solo le Sue mani erano visibili. L’uomo fece spostare il venditore e pregò: “Madre, Madre! Non vuoi darmi il Tuo darshan?” Aveva visto il Suo braccio, perciò iniziò ad adorarLa recitando i Suoi molti Nomi:

Indirâ (bellezza, splendore).
Lokamâtâ (Madre universale, che tratta tutti gli esseri viventi come propri figli).
(Madre).
Ramâ (Dea della fortuna).
Mangala devatâ (Dea della prosperità).
Bhârgavî (splendente).
Loka jananî (Madre del mondo).
Kshîra sâgara kanyaka (Figlia dell’oceano di latte).

Ella rispose: “Non mostro a nessuno alcuna forma. Io sono senza forma. Tutte le forme sono quelle di Dio. Il Signore viene visto nelle forme create da colui che Lo adora, ma Egli non ne possiede una specifica. Tuttavia, come ricompensa della devozione, ho creato questa mano per i braccialetti.” Il devoto vide la Sua mano e sentì che la sua vita era stata santificata. “Ho avuto la visione della mano della Madre Divina; mi basta questo”, egli disse.

La carità è l’ornamento delle mani.
Le Scritture sono l’ornamento del collo.

“Madre, ho visto la Tua mano.”
Tutte le forme che vediamo, sono forme di Dio, poiché Egli non ne possiede una specifica.
Lo spazio, così come  il sole e la luna che sono in esso, sono caratteristiche di bhûtâkâsha, e noi non dovremmo prenderle troppo in considerazione, poiché sono mutevoli, vacillanti. Esse passano, cambiano e spariscono, allontanandosi da noi.
Solo una cosa è permanentemente al vostro fianco, con voi e in voi: la Beatitudine. Essa non ha forma, se non una. Quale? (Swami lo dimostra ridendo – N.d.T.:) “Ah, ah, ah, ah, ah, ah.” Ridere è beatitudine. La risata è la forma concreta della Beatitudine: non tuttavia la risata chiassosa, che è caratteristica del mondo

 

La risata di Dio
Come ride Dio? Egli ha un volto sorridente; la Sua è una risata senza suono, dove la bocca non si apre. È una risata che dona Beatitudine, che conferisce Ânanda.
La risata terrena è chiamata prahâsana (risata chiassosa, deridente – N.d.T.), mentre la risata senza suono è hasam. Dio ride ininterrottamente, ma senza far rumore. Gli altri tipi di risate sono risate da cinema. Voi vedete quelle e pensate che anche Dio rida così.
C’è una sola cosa che andrebbe donata a Dio: la gratitudine.

 

La dovuta gratitudine!
Che cosa dovremmo dare a Dio? Egli ci sta dando così tanto! Quando il corpo è ammalato, il medico fa un’iniezione e noi, in cambio, lo paghiamo con il denaro equivalente al costo della medicina. Il debito viene così saldato. Quando avete fame, per saziarvi dite: “Mamma, ho fame; mamma, ho fame.” Allora ella vi cucina del riso con le verdure. Mangiare con gioia è la giusta gratitudine alle premure di vostra madre.
Quando soffrite e qualcuno viene ad alleviare il vostro dolore, qual è la giusta gratitudine? Quando qualcuno ci presta aiuto, non dovremmo assolutamente dimenticarlo. Dovremmo sempre ricordarlo. Un tale atteggiamento, però, ai giorni nostri è sparito.
Dio sta donando così tanto! Sta dando istruzione gratuita (in inglese: free – N.d.T.), cure gratuite, acqua gratuita, parole gratuite e gratuitamente si muove in mezzo a voi. È tutto free, free, free, free, free, free (gratis)! (Applausi).
Ma quale gratitudine state dando in cambio? Dovreste eliminare l’ego. Il prezzo giusto per tutto questo è, infatti, rendere anche voi stessi free (liberi). “Signore, che cosa posso darTi?”

“Signore! Ti offro il cuore che mi hai dato.
Che altro potrei offrire ai Tuoi Piedi?
Accetta i miei omaggi.”

Offrire i vostri omaggi: questa è la giusta gratitudine. Se anche quella mancherà, diventerete crudeli, dovrete incarnarvi nuovamente, sarete pieni di problemi e patirete grosse sofferenze. Quando invece offrite i vostri omaggi, tutto ciò viene spazzato via. Sarete sempre sorridenti. Dovete sempre sorridere. Questo è il vostro obiettivo.
Un devoto di Krishna ripeteva il Suo Nome incessantemente: “Krishna, Krishna, Krishna...”
Tuttavia aveva un dubbio: “Quale Krishna dovrei contemplare? In ogni immagine Egli appare diverso. Dovrei adorare questo, o dovrei adorare quello? Quale Krishna dovrei adorare?” Aveva questo dubbio. Ma quelle sono tutte immagini create nel mondo.

Dio si incarna in forma umana.

La corona posta sulla Sua testa, il trucco sul volto sono tutte immagini che non hanno niente a che vedere con la vera forma di Krishna. Sempre sorridente, sempre intento a far sorridere gli altri, sempre in beatitudine e dispensatore di beatitudine agli altri: solo questa è la vera forma di Krishna.
Si dovrebbe essere beati e dare beatitudine agli altri. Quindi, date e ricevete. Dovreste donare gioia e riceverla in cambio. Questa sola è la vostra gratitudine: avrete gioia persino nei vostri sogni. Dando al Divino solo gioia, senza gratitudine, non otterrete alcuna beatitudine.

 

Continuate a sorridere
Quando i vostri occhi vedono il Dio che adorate, sorridete! Dovreste continuare a sorridere. Non dovreste serrare le labbra: se le stringete in questo modo, non proverete alcuna gioia. Si dovrebbe essere sempre felici. La beatitudine è la vostra vera forma: per questo bisognerebbe sorridere ininterrottamente.
Si provano delle sofferenze, si sperimentano difficoltà e dolori, ma non per questo dovreste piangere. Sono cose che vengono e vanno. Sono tutte nuvole passeggere. Come arrivano, se ne vanno. Tutto qui. Non rimangono. Perciò non dovremmo affatto preoccuparcene. Solamente quando consolideremo questa fede, diventeremo veri devoti.
Sfortunatamente, ai giorni nostri, non ci si comporta così. Vostra madre ha la febbre, vostro padre è ammalato; ma se voi continuate a pensarci, come potete ottenere beatitudine?
Chi sono i genitori? Sono i genitori di questo corpo materiale. A chi appartiene il corpo? È nato solo da un altro corpo fisico. Non è dunque al corpo che deve andare la nostra gratitudine. Dovremmo dimenticare il corpo e contemplare il Corpo di Dio (l’Âtma). Questa è vera natura umana.

 

La natura dell’âkâsha
Ritorniamo alla natura dell’âkâsha: bhûtâkâsha, chittâkâsha e chidâkâsha.
Bhûtâkâsha andrebbe completamente dimenticato; chittâkâsha andrebbe in parte tenuto a mente, poiché, se ci immergiamo in esso, gradualmente raggiungiamo chidâkâsha.
Chittâkâsha va dunque ricordato.
Qual è la via per vedere chittâkâsha? Domani ve ne darò i dettagli.
La natura della Divinità, nel mondo, può essere in parte spiegata. Tuttavia la Divinità che può essere descritta, non è la Divinità vera e propria. La natura della descrizione è fatta di parole, termini che ingannano, illudono e sono instabili. Dovreste invece indagare sulla natura che vi libererà, ossia “Quello” (Dio).
Questo (l’uomo) è Quello (Dio): Tat tvam asi. Solo “Quello” è la Divinità. Tvam si riferisce a “questo”. Quello e questo: il loro punto di unione è asi. Tat tvam asi. Entrambi dovrebbero diventare Uno.
Narasimha Murthy, il Direttore del campus di Brindavan, mi ha pregato di parlare dell’argomento relativo al mondo e di chidâkâsha, chittâkâsha e bhûtâkâsha.
Ma quando li conosciamo tutti, qual è il vero âkâsha? Hridaya âkâsha (l’âkâsha del cuore – N.d.T.). Anch’esso, tuttavia, non è stabile. Dovremmo quindi fare il giusto sforzo per scoprire chidâkâsha (l’Âtma).


(Swami conclude cantando: “Hari Bhajana Binâ Sukha Shânti Nahi...").

 

Whitefield, Sai Ramesh Krishan Hall, 23 maggio 2002
Corso estivo 2002
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