19630706 - 06 luglio

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Discorso Divino
Bhagavan Sri Sathya Sai Baba
06 Luglio 1963

Shiva Shakti


(N.d.T. - Questo Discorso fu toccante essenzialmente per due motivi: primo, Swami rese espliciti i Suoi poteri guarendo Se stesso, in pochi secondi e di fronte a migliaia di persone, da una grave apoplessia sofferta per un periodo di otto giorni e della quale rese note le ragioni. Secondo, Swami menzionò, per la prima volta, Prema Sai, Sua prossima incarnazione. Egli affermò che si sarebbe reincarnato per la terza volta, come Prema Sai, otto anni dopo aver lasciato l’attuale Corpo.)

Questa non è una malattia di Swami, ma un' infermità che Egli ha preso su di Sé allo scopo di salvare qualcuno. Swami non prende malattie, né si ammalerà mai. Dovete essere felici: solo questo farà felice Swami. Se vi rattristate, Swami non sarà felice. La vostra gioia è il cibo di Swami.

(Baba, poi, fece segno a Kasturi di parlare. Quando il breve discorso di quest’ultimo fu terminato, Baba volle che il microfono fosse messo davanti a Lui e con esso chiese ‘Vinapisthundâ!’, ma, nonostante la richiesta fosse effettuata più volte, la voce era talmente indistinta da non permettere a nessuno di comprendere che cosa chiedesse. Fece poi cenno di volere dell’acqua. Ricevutala, con la mano destra tremante ne versò un pochino sull’altra mano e sulla gamba sinistra, colpite dalla malattia. Poi, con la mano destra massaggiò la sinistra e, immediatamente, poté far uso di entrambe per massaggiare la gamba. Quel tocco bastò a guarirla. Eliminò così la malattia in un batter d’occhio! Cominciò subito a parlare: era nuovamente tornata quella voce melodiosa...).

Per quelli che non hanno rifugio, Dio è il rifugio.

Questa è esattamente la ragione per cui ho dovuto prendere su di Me la malattia che doveva colpire un devoto, che non avrebbe avuto la possibilità di affrontarla. Doveva subire questa terribile infermità, come pure i quattro attacchi cardiaci che l’hanno accompagnata: non sarebbe sopravvissuto. Quindi, fedele al Mio dovere di proteggere i devoti, dovevo salvarlo. Naturalmente, non è la prima volta che prendo su di Me la malattia di persone da salvare. Anche nel precedente Corpo, a Shirdi, avevo questa responsabilità.
Per quel devoto, la sofferenza che avete visto sarebbe stata troppo grande; quindi, ho dovuto salvarlo prendendola IO stesso. Questo è il Mio gioco (lîlâ), la Mia natura. È parte della missione per cui sono venuto, il shishyarakshana (la protezione dei discepoli).
Durante l’ultima settimana, coloro che Mi stavano vicino, continuavano a chiederMi il nome della persona che avevo salvato. Risposi che ciò li avrebbe fatti adirare, perché avrebbero detto: “Swami ha dovuto sopportare tanto dolore per salvare quell’unica persona”.
Essi, allora, replicarono dicendo che avrebbero riverito tale persona, per la straordinaria devozione che, in quel sabato pomeriggio, aveva indotto Swami a correre in suo aiuto.
Alcuni chiesero persino se si trattasse del tale o del tal altro, fornendo i nomi di chi aveva subìto attacchi di paralisi, specialmente nella parte sinistra! Ciò è ancor più assurdo, perché, quando salvo una persona, la salvo totalmente. Non aspetto che contragga la malattia e neppure gliene lascio anche solo un piccolo postumo, cosa che potrebbe, in seguito, farlo individuare. Trovo buffe le vostre congetture e le vostre supposizioni.
Anche a Shirdi, Dada Saheb, Nadaram e Balawanth furono tutti salvati allo stesso modo.
Balawanth era destinato a contrarre la peste bubbonica, ma Mi presi il bubbone e il ragazzo si salvò.
Questo, forse, è il periodo più lungo in cui ho lasciato i devoti attoniti e preoccupati. È accaduto a causa degli attacchi cardiaci che, in seguito, avrebbero colpito il devoto e dai quali avrebbe dovuto essere salvato.
C’è poi un altro motivo per cui bisogna osservare un periodo di otto giorni. Ve lo dirò.
Significa che devo parlarvi di Me, di qualcosa che ho tenuto in Me per 37 anni. È venuto il tempo di annunciarlo. Questo è un giorno sacro, ed IO ve lo rivelerò.
Voi sapete che, proprio il giorno in cui decisi di rivelare la Mia identità, la Mia missione e il Mio avvento, dichiarai di appartenere all’Âpastamba Sûtra e al lignaggio di Bharadvâja.
Bharadvâja fu un grande saggio, che studiò i Veda per cento interi anni; scoprendo però che i Veda erano infiniti, fece penitenza per ottenere un prolungamento della vita e, da Indra, ottenne due estensioni di cento anni l’una. Anche allora tuttavia, i Veda non poterono essere interamente studiati; egli, quindi, chiese altri cento anni. Indra gli mostrò tre imponenti catene di montagne e disse: “Ciò che hai imparato in tre secoli, forma solo tre minuscole parti delle tre ‘catene’ che costituiscono i Veda. Rinuncia, quindi, al tentativo di terminarne lo studio. Esegui, piuttosto, il rituale che io ti insegnerò; esso ti darà il risultato dello studio pieno e completo dei Veda”.
Bharadvâja decise di compiere il rituale. Indra gli insegnò come attuarlo, e vennero fatti tutti i preparativi. Il saggio desiderava che Shakti presiedesse a quel rituale e che lo benedicesse. Quindi, si recò sul Kailâsa, ma non era il momento opportuno per avanzare la sua richiesta. Shiva e Shakti, infatti, erano impegnati in una gara di danza che avrebbe rivelato chi fosse in grado di danzare più a lungo.
Passarono così otto giorni prima che Shakti si accorgesse che Bharadvâja stava aspettando al freddo. Gli fece solo un sorriso e continuò a danzare come prima!
Il saggio interpretò il sorriso come un cinico rifiuto a prenderlo in considerazione; quindi, voltò le spalle al Kailâsa e cominciò a scendere.
Constatò allora , con sgomento, che gamba, mano e occhio sinistri del proprio corpo erano stati messi fuori uso da un colpo apoplettico. Shiva lo vide cadere, lo raggiunse e gli dette conforto, dicendogli che Shakti, in realtà, aveva benedetto lui e il suo rituale. Poi lo rinvigorì e lo guarì aspergendolo con l’acqua del kamandalu (recipiente di legno o terracotta usato dagli asceti – N.d.T.).
Quindi, Shiva e Shakti, gli concessero entrambi il dono che si accorda a un saggio, dicendogli che avrebbero presieduto al rituale. Terminato il rito, essi erano talmente compiaciuti da concedere al saggio altre grazie.
Shiva disse che avrebbero preso forma umana nascendo per tre volte nel lignaggio di Bharadvâja: Shiva da solo, come Shirdi Sai Baba; Shiva e Shakti insieme, a Puttaparthi, come Sathya Sai Baba; in ultimo, Shakti da sola, come Prema Sai. Poi Shiva ricordò la malattia che all’improvviso aveva colpito Bharadvâja sul Kailâsa l’ottavo giorno di attesa al freddo, in una zona ghiacciata, e fece un’altra promessa formale: “Come espiazione per la noncuranza che ti ha riservato sul Kailâsa per otto giorni, quando entrambi ci incarneremo come Sathya Sai, Shakti subirà un’apoplessia che durerà otto giorni, e, l’ottavo giorno, La libererò da ogni traccia della malattia, aspergendoLa con dell’acqua, esattamente come ho fatto sul Kailâsa per guarirti”.
Quello a cui oggi, solo qualche istante fa, avete assistito, non è stato altro che l’attuazione di quella promessa. Tutto ciò doveva accadere: il colpo apoplettico e la guarigione.
La promessa fatta nel Tretâ Yuga (l’età dell’argento – N.d.T.) doveva essere mantenuta.
Ora posso dirvi che il povero, sventurato devoto che doveva essere colpito dall’apoplessia che ho preso su di Me, era un comodo pretesto che ho sfruttato.

Vedete, una locomotiva non viene utilizzata per trainare una sola carrozza. Quando un certo numero di carrozze è disponibile, allora il motore viene attivato.
Allo stesso modo, la malattia doveva essere affrontata, il devoto salvato, la promessa mantenuta, il mistero sciolto: il Divino doveva essere annunciato più chiaramente, attraverso questo straordinario miracolo.
Tutto ciò ha trovato attuazione grazie a tale unico evento.

Lasciate che vi dica ancora una cosa. Nulla può impedire o fermare il lavoro dell’Avatâr. Quando, durante tutti quei giorni, mi trovavo di sopra (Baba si riferisce ai Suoi alloggi – N.d.T.), alcune persone, insensatamente, dicevano: “È finita per Sai Baba!”, facendo tornare indietro molti di coloro che stavano raggiungendo Puttaparthi. Taluni dissero che Mi trovavo in samâdhi, come se fossi un aspirante spirituale!
Altri temevano che fossi vittima di magia nera, come se ci fosse qualcosa che possa destabilizzarMi.
Lo splendore di questo Avatâr aumenterà di giorno in giorno.
In passato, quando la montagna Govardhana fu sollevata dal piccolo Krishna, le pastorelle e i pastori compresero che Egli era il Signore.
Ora, sarà sollevata non una sola montagna, ma un’intera catena montuosa. Vedrete!
Abbiate pazienza; abbiate fede. Domani mattina, darò ad ognuno di voi la benedizione del namaskâr, che oggi avete perso.


Prasanthi Nilayam, 6 luglio 1963, ore 6,30 p.m.
Festa del Gurupûrnimâ