19700306 - 06 Marzo

Stampa

Discorso Divino
Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba

Discorso del 06 marzo 1970

La Mia Realtà è Verità, Bontà e Bellezza


Io non sono un uomo né un essere celeste,
non sono un bramino né uno kshatriya,
un vaishya o uno shûdra.
Non posso esser descritto come un celibe,
un capofamiglia, un eremita o un monaco.
ConosceteMi come l’Insegnante della Verità.
La Mia Realtà è Satyam (Verità), Shivam (Bontà) e Sundaram (Bellezza).

Râma e kâma non possono coesistere



Anche la vostra realtà è Sathyam, Shivam, Sundaram. Senza verità, non può esserci bontà e senza bontà a che serve la bellezza? L’effetto della verità sulla mente è bontà, la gioia che sgorga dalla bontà è la bellezza genuina che gli artisti amano. Queste tre sono davvero la stessa cosa, sono indivisibili: la verità è bontà e la bontà è bellezza. Sperimentate questa verità; ciò vi darà la beatitudine più elevata. Non lasciatevi distrarre da gioie minori, non sprecate la vostra energia partecipando al gioco sciocco del vincere e perdere, riunire e sparpagliare, farsi una fama, una fortuna e una felicità temporanee. Andate direttamente sulla strada regale che conduce all’autorealizzazione senza deviare nei vicoli della falsa gioia. Questo non significa che dovete abbandonare amici e parenti e andarvene da soli; la comunità in cui vi trovate è l’arena in cui potete ottenere la vittoria, la palestra ove acquisite la capacità di vincere. Il viaggio spirituale risiede nella compassione, nella comprensione, nell’aiuto e nel servizio reciproci e questi sono favoriti dalla società e vanno usati per la società.

L’amore è l’antidoto più efficace per l’avidità

Râvana era il monarca più potente del suo tempo, come lo descrive Vâlmîki. La sua capitale era una fortezza inespugnabile colma di tesori straordinari. Egli era padrone dei quattro Veda e delle sei Shastra (scienze spirituali). Vyâsa descrive Duryodhana, il più anziano dei Kaurava, insuperato per numero e forza dell’esercito, degli armamenti e dell’abilità diplomatica, eppure i due sono stati esecrati da giovani e vecchi per secoli. Perché? Perché degenerarono dal livello umano a quello bestiale invece di salire a quello divino. Ambedue avevano la stessa pecca: l’avidità. Essi non conoscevano il segreto dell’accontentarsi, soffrivano di kâma, desiderio incessante, ma Râma e kâma non possono coesistere; il tabernacolo interiore dell’uomo può ospitare solamente uno di loro: Râma o kâma.
Se amate una persona, non desiderate dominarla, non bramate la sua proprietà, non invidiate la sua prosperità né gioite della sua sofferenza. L’amore è l’antidoto più potente per l’avidità, per cui la disciplina spirituale fondamentale è: date amore e ricevete amore. Avrete sentito dire il termine bhûtabali che viene interpretato come “sacrificio per soddisfare gli spiriti”. Bali significa anche tassa e il bhûtabali che tutti sono chiamati a dare è la tassa da pagare agli elementi (bhûta) per questa splendida occasione della nascita umana. Per tutte le parole buone che vi sono rivolte, per tutte le buone azioni di cui beneficiate e per tutti i pensieri positivi che spargono pace nel vostro cuore e illuminano la strada che percorrete, dovete pagare una tassa.

I devoti Sai dovrebbero avere tolleranza e compassione
L’amore vi persuade a interessarvi della sofferenza degli altri ogni volta che ne siete colpiti; siete altrettanto attratti da coloro che sono addolorati. Siete dunque così coinvolti dalle angustie degli altri da dimenticare le vostre. Draupadî pianse disperata davanti a Krishna: “Krishna! Quando una madre perde un figlio, che la morte le strappa dal seno, è sopraffatta dal dolore: Ashvattâmâ ha trucidato i miei figli a sangue freddo mentre dormivano profondamente nel cuore della notte. Li ho persi tutti. Come posso essere consolata? Come riavrò quei bambini?”
Krishna rispose: “Sorella! Tu hai affrontato gli oltraggi che la malvagità dei Kaurava ti inflisse in piena corte; sopporta questo colpo con lo stesso coraggio. Guarda Gândhârî, la madre dei Kaurava: ella si è imposta di essere cieca come suo marito e ha perduto tutti i suoi cento figli! Non ne è rimasto nessuno.” Egli la consolò mostrandole la maggior forza d’animo di un’altra madre. Considerate l’angoscia degli altri e condividete il loro dolore; siatene coinvolti più di quanto non lo siate dal vostro. Questo è il segno di un vero devoto di Sai. Egli dovrebbe avere compassione, tolleranza e comprensione; se non le ha, sarà messo in ridicolo e a buona ragione. La gente chiede sghignazzando: “Dov’è il tuo Dio? Com’è fatto? Che cosa fa?” ecc. Essi dileggiano perché coloro che hanno sperimentato la maestà e la grandezza di Dio sono molto pochi. Dio è Verità, Bontà e Bellezza, ma soltanto quelli che hanno avuto esperienza di Lui possono affermarlo e convincere gli altri. Voi potete avere un vaso pieno di ambrosia (amrita), ma come riuscite a rendervi conto del suo aroma e della sua dolcezza se non ne mettete una goccia sulla lingua? Attraverso di voi, devoti di Sai, la trasformazione deve giungere alla mente delle persone. La vostra responsabilità, dunque, è molto grande.

L’amore può soffocare le fiamme dell’ira
Nel Mahâbhârata si racconta che, quando la guerra era imminente, negli ambienti in cui i mali di quell’epoca erano conosciuti si diceva che soltanto una fitta pioggia di frecce poteva soffocare le fiamme dell’odio. Ora è l’inverso: solamente una fitta pioggia d’amore può acquietare e spegnere le fiamme dell’ira, della paura e dell’ansia che avvolgono il mondo d’oggi. Alcuni studiosi che sono venuti da Me recentemente, Mi hanno detto: “Swami, Tu parli delle fiamme dell’ansietà e della paura, ma avrai sicuramente apprezzato l’enorme passo che l’uomo ha fatto arrivando sulla luna.” Io ho risposto che spendere bilioni di dollari e rubli in imprese simili è stato un errore ed essi hanno replicato che, sebbene possa non esserci un ritorno immediato per tutti quei capitali spesi, le possibilità di ottenere un vantaggio sono molto grandi. Io ho detto: “È una questione di priorità: innanzitutto le cose primarie. Quando sulla terra così tante nazioni soffrono di denutrizione, hanno scarsa istruzione e alloggi inadeguati, spendere tempo, capacità e denaro in questa avventura competitiva e spettacolare è pura assenza di discriminazione. In futuro, quando la terra diventerà la casa di una famiglia di persone felici, allora si potranno progettare imprese simili.”

Osservate la disciplina suggerita dai saggi

La terra è l’habitat naturale dell’uomo; perché dovrebbe egli avventurarsi fuori del raggio degli elementi di cui il corpo è composto e andare in luoghi ove deve portarsi l’acqua, l’aria e le altre sostanze che gli sono indispensabili? Quando va sulla luna, egli non lascia l’ansia, la paura e la falsità dietro di sé. La luna in cui l’uomo deve andare è la mente e non questo satellite inerte privo della capacità di illuminarsi. Il Râmâyana dice che Râvana preparò magistralmente una testa di cera simile a quella di Râma e fece in modo che venisse mostrata a Sîtâ come fosse il capo mozzato del suo Signore, in modo che ella abbandonasse tutte le idee di vivere con Lui e cedesse ai voleri del suo rapitore, ovvero Râvana. La luna è come quell’imitazione inerte della testa di Râma. Il vero Râma era vibrante, attivo, in un altro posto. La luna reale per l’uomo è la sua mente. Quando quella luna è conquistata, Sivam illumina la notte che diviene Shivarâtrî (la notte fausta), altrimenti è shavarâtrî (la notte della morte). Quindi l’uomo, fin quando rimane inconsapevole di se stesso e della sua divinità, non è migliore di un cadavere. I saggi dell’India idearono vari riti, cerimonie, discipline, comportamenti e convenzioni per aiutare l’uomo a purificare le emozioni e rafforzare la fede; essi prescrissero anche la disciplina che si dovrebbe osservare nel cibarsi. Consumate soltanto cibo semplice, puro e pulito, ciò che i saggi definiscono cibo satvico, il che significa mangiare soltanto il cibo che non suscita gli impulsi e le emozioni, non acuisce le passioni, non altera l’equanimità e non ostacola la salute. Il cibo offerto a Dio è libero dalle vibrazioni malvagie che danneggiano l’individuo sui piani sottili; anche quello offerto all’affamato, e poi consumato, ha le stesse qualità benefiche. Dato che il cibo ha un impatto sottile sui sentimenti e i pensieri dell’uomo, questi deve stare sempre attento a ciò che mangia.



Prashânti Nilayam, 6 marzo 1970
(Da “Sanâtana Sârathi”, febbraio 2011)