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19870506 - 06 maggio

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Discorso Divino
Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba
06 maggio 1987

La realizzazione di Dio è la meta della vita


Una vita senza controllo riduce l’uomo a livello animale


Nel linguaggio corrente, sentiamo usare i termini madre, padre, precettore e Dio in quest’ordine. Ciò ha un proprio significato. È la madre che il bimbo vede appena nato, è lei che gli mostra il padre e questi lo guida al precettore che lo conduce a Dio. Tutti dovrebbero comprendere il profondo significato di questi quattro termini.

La via della Liberazione
Dagli aspiranti spirituali, udiamo i quattro termini: Devozione (Bhakti), Saggezza (Jñâna), Rinuncia (Vairâgya) e Realtà (Tattva) nello stesso ordine e anche in questo c’è un significato. La Devozione risveglia la Saggezza e questa suggerisce la Rinuncia che, a sua volta, porta alla conoscenza della Realtà. Noi possiamo raggiungere la casa della Liberazione (Mukti) se percorriamo i gradini della devozione, della saggezza, della rinuncia e della conoscenza della Realtà. Il messaggio principale del Bhâgavata è la devozione. La madre è il simbolo della devozione, il padre della saggezza e il precettore della rinuncia. Dio è l’Incarnazione effettiva della Conoscenza Atmica. Già nel suo titolo, il Bhâgavata testimonia questa verità. Il termine telugu “Bhâgavatamu” è composto di cinque sillabe, di cui “bha” significa “bhakti” (devozione), “ga” indica “jñâna” (saggezza), “va” si riferisce a “vairâgya” (rinuncia), “ta” simboleggia “tattva” (conoscenza della Realtà) e “mu” è l’inizio di “mukti” (liberazione). Il Bhâgavata ci dona la liberazione conducendoci attraverso la devozione, la saggezza, la rinuncia e la conoscenza della Realtà. Prahlâda ci ha dato un Dvâdashâkshara Mantra, una formula sacra di dodici sillabe in telugu, cioè “Throva vedhuku konuta dodda buddhi”, che significa che l’intelligenza più elevata consiste nel trovare la via. Qual è la via da trovare? È la via verso la Divinità. Come si deve trovare? Va trovata scoprendo la fonte da cui si proviene. Voi venite dal Divino e al Divino dovete tornare.

Il viaggio da Dio a Dio

La settima stanza del quindicesimo capitolo della Bhagavad Gîtâ dice che noi veniamo da Dio. L’affermazione del Signore recita:


“L’Âtma eterno in tutti gli esseri è parte della Mia Essenza.
Ciò significa che voi siete un aspetto di Me Stesso
e non della natura e dei suoi cinque elementi.
Poiché siete un aspetto di Me,
per voi non può esserci pace e gioia
finché non Mi raggiungete e vi immergete in Me.”


Come un bambino non vive senza la madre, come il fiume deve cercare l’oceano da cui proviene, come il ramo dell’albero non può sopravvivere separato dal tronco e un pesce non può vivere fuori del suo elemento vitale acqua, così anche l’uomo, che è venuto da Dio, non può avere felicità vera finché non si riunisce a Lui. Un devoto cantò in lingua kannada: “Io sono venuto in questo mondo perché Ti ho dimenticato. Lasciando l’Eterno che Tu sei, mi sono immerso in questo mondo transitorio e temporaneo. Che gioia posso ottenere in questa zolla di terra visto che tutte le gioie sono in Te solamente?” Noi nasciamo in questo mondo perché dimentichiamo Dio e dobbiamo ritrovare la strada verso il Divino, la nostra destinazione, ritornando sui passi con cui siamo venuti. “Tutti gli esseri viventi devono tornare alla sorgente da cui sono venuti in esistenza”, dice il Bhâgavata, ed è nostra sfortuna aver oggi dimenticato questo messaggio vitale. Ricordare la fonte da cui siamo venuti, è l’essenziale impegno spirituale a cui ogni uomo dovrebbe dedicarsi.

Ricordate sempre la meta della vostra vita

Invece di impegnarsi a manifestare l’Âtma, l’uomo spreca il tempo nella futile ricerca di anna (cibo). Gli animali sono sempre indaffarati a cercare il cibo. L’uomo, che è dotato d’intelligenza, non dovrebbe accontentarsi di rimanere simile a loro; dovrebbe sforzarsi di raggiungere la Realtà. Il cibo, il sonno, la paura e l’accoppiamento sono comuni a lui come agli uccelli e alle bestie. Oggi l’uomo è molto limitato da queste quattro cose; la nascita umana dovrebbe essere usata per portare a manifestazione la Divinità interiore e non per gettarLa via nel perseguire i piaceri dei sensi. Chaitanya dichiarò: “Oggi noi abbiamo installato i pensieri e i sentimenti dissoluti sul trono del nostro cuore invece di farne il seggio del Signore.”
È ovvio che la maggior parte di noi debba condurre una vita normalmente terrena, ma non dovreste esservi immersi totalmente. Il mondo fenomenico (samsâra) non vi segue per sempre; è la purezza (samskâra) che avete raggiunto a rimanere con voi nella vita dell’aldilà. Certi anziani vengono da Swami e Lo pregano di mostrare loro la via verso Dio. Qual è la via? La via è costituita dal tornare al luogo da cui siete venuti. Poniamo che andiate in una città e vi fermiate in albergo per alcuni giorni. Dopo aver finito il lavoro in quella città, dovete tornare, non potete vivere per sempre in albergo scambiandolo per casa vostra. Il mondo fenomenico è come un albergo in cui vi siete recati per sperimentare le conseguenze delle vostre azioni passate e il corpo è una delle stanze in cui dovete subire i ritorni karmici. Il tempo e il corpo dovrebbero essere usati per portare a termine la missione per cui siete venuti; invece voi siete impegnati nell’accumulare ricchezza, oro e altri possessi materiali. È vero che il denaro è necessario per vivere nel mondo, ma dovrebbe esserci un limite all’acquisizione di oggetti materiali. Il benessere e la felicità veri non si possono ottenere senza osservare certi limiti nella vita, e una vita incontrollata riduce l’uomo al livello dell’animale.
Dimenticando la meta primaria del vivere, la gente spreca il suo tempo. Il tempo è prezioso, e la morte fa dondolare la sua spada su ogni testa. Il nostro periodo di vita diminuisce alla svelta, come acqua che sgocciola da un vaso rotto o da un blocco di ghiaccio che si scioglie. La morte raggiunge molti anche prima che abbiano portato a termine la loro missione della vita.


Il corpo è fatto di cinque elementi e, prima o poi, è destinato a morire,
ma l’Abitante non ha nascita né morte, non ha alcun attaccamento,
ed è l’Eterno Testimone.


Questa è la verità che tutti devono comprendere. L’appagamento nella vita non si può trovare nel mangiare e nel bere.

La madre è il vostro primo Dio
L’amore per la madre deve essere coltivato da tutti. Oggi l’amore viene ispirato dal desiderio di ricchezza e dall’avidità invece che dall’affetto spontaneo verso la madre. A malapena uno su un milione comprende di esser debitore, nei confronti della madre, del cibo, del sangue e della vita stessa. Dovunque possa essere, la madre è veramente divina. Si dice: “Riverisci la madre, il padre, il precettore e l’ospite come Dio.” Tra questi quattro, la madre è la prima ed è certamente, per tutti, il primo insegnante. È lei che cerca più di tutti di garantire il benessere del bambino dandogli affetto e amore incondizionati e mostrandogli il padre. I figli di oggi non cercano di seguire i precetti della madre, ma puntano ai suoi averi. A che serve avere figli di questo tipo? Essi sono una maledizione per il ventre che li ha partoriti.


“A che serve un figlio che non alza le mani al cielo pregando il Signore,
che non recita il Nome del Signore finché la bocca non sia indolenzita
e non tiene caro il Signore nel suo cuore?
Egli è una disgrazia per la madre che l’ha partorito.”


Così dice il Bhâgavata e questo singolo verso dice tutto ciò che è essenziale intorno alla devozione, all’azione, alla saggezza spirituale e alla rinuncia. Quali sono i doveri della mano e della lingua di un vero devoto? Dio ha dato a ogni uomo uno stomaco, ma due mani con cui lavorare; se egli lavora abbastanza con tutti e due, non c’è bisogno che digiuni. Non c’è penuria di cibo. Chi non usa le mani come dovrebbe, non ha diritto di sostenersi pesando sugli altri. I Veda hanno stabilito la supremazia dell’azione sacra (karma).

Fate un uso sacro della lingua

La lingua dovrebbe essere usata per officiare funzioni sacre. Si dovrebbero pronunciare parole dolci e sacre che non causano pena od offesa ad altri; insultare gli altri è un peccato. Dio risiede in tutti. La persona che insulta qualcuno, in effetti insulta il Signore Stesso. Jayadeva esortava tutti a fare un uso sacro della lingua e a cantare incessantemente i Nomi Divini come Govinda, Mâdhava e Dâmodara. La lingua sperimenta il dolore e la sofferenza a casa sua, senza vagabondare nelle case degli altri. Silenziosamente decide subito se un cibo deve essere mangiato o no: se esso è gradevole, mostra il suo consenso mandandolo giù per la digestione, ma, se è cattivo, lo sputa. Se la lingua viene usata correttamente, può essere il mezzo con cui raggiungere la Divinità Stessa. Fate che il Nome del Signore danzi sempre sulla vostra lingua perché, nell’era di Kali, il ricordo del Nome è la via più facile verso la Liberazione. Dovremmo usare la lingua per pronunciare parole dolci e veritiere, ma spesso questo strumento viene usato male. I peccati che la lingua commette sono quattro: mentire, sparlare, inveire e parlare troppo. Essa si santifica se si astiene da questi quattro peccati.

Il servizio esemplare di Pundarîka ai genitori
Tutti dovrebbero custodire gelosamente in cuore l’amore per la madre che li fa nascere, li alleva amorevolmente e li segue con cura. Chi perde l’amore della madre non può meritare l’amore di nessuno. Pundarîka era dedito al servizio dei suoi genitori ormai anziani e in questo osservava le regole che si era dato. Egli non toccava cibo finché i suoi genitori non fossero andati a dormire. Una volta, il Signore Pânduranga volle mettere alla prova il suo amore per loro. Egli andò a casa di Pundarîka e si pose di fronte a lui che stava massaggiando i piedi dei genitori. Il giovane continuò il suo servizio a essi che non si erano ancora coricati. Il Signore gli chiese di guardarLo, ma egli disse di essere impegnato nel servire i genitori. Pânduranga aggiunse: “Pundarîka, non ti piacerebbe sperimentare la visione di Me, magari una volta?” Allora egli rispose: “Fintantoché i miei genitori non vanno a dormire, io non posso cercare la Tua visione. Se vuoi che io Ti veda, Ti prego di aspettare un poco. Verrò da Te dopo che essi si saranno ritirati.” Così dicendo, spinse un mattone verso il Signore chiedendoGli di rimanere e aspettare che avesse finito di servire i genitori. Il Signore ammirò l’amore e la devozione di Pundarîka verso di loro e lo benedisse. Fu la sua devozione esemplare nei confronti dei genitori a far sì che il Signore Pânduranga spandesse la Sua grazia su di lui.

Da koham a soham

Dal momento in cui nasce, l’uomo si interessa al futuro. Il primo grido del bambino è: “Kwa, kwa!” “Da dove sono venuto?” Se esaminate ciò che vi accade ogni giorno, capite perché il bambino pianga quando nasce. Vedendo le seccature innumerevoli che ci sono in serbo, egli grida: “Dove sono?” Dimenticando il luogo di provenienza, gli uomini si perdono nei desideri mondani. Ci sono pochi che, come Prahlâda, sono consapevoli della loro Divinità interiore e, appena nati, dicono: “Soham! Soham!” (Io sono Quello). I comuni mortali domandano: “Koham? Koham?” (Chi sono io?), e non trovano risposta fino alla fine della vita. Essi non comprendono che la risposta è: “Io sono Dio.” Pochi seri ricercatori cominciano con Koham e finiscono con lo scoprire Soham. L’uomo è costretto a commettere errori volontariamente o meno, ma un errore che non deve commettere mai, per nessuna ragione, è dimenticare ciò che deve a sua madre. L’amore di una madre può redimere la vita di un uomo, quali che siano i suoi errori. Il dono più grande dei genitori è il corpo con tutti i suoi poteri. Sebbene il Signore governi tutte le vite, sono i genitori a dare il corpo al bambino. La creta e l’acqua sono doni della natura, ma è il vasaio a fare i vasi, per cui la gratitudine per i genitori è l’obbligo primario dell’uomo.

La gioventù, la ricchezza e la forza sono passeggere
Oggigiorno gli studenti chiedono perché debbano essere grati ai genitori; essi dovrebbero ricordare che, se si comportano in modo da esser fonte di preoccupazione per i genitori, non dovranno sorprendersi se, negli anni a venire, i loro figli saranno causa di problemi simili per loro. Questa è la legge dell’azione e reazione che è sempre all’opera. Non gloriatevi della gioventù, della ricchezza e della forza: sono tutte passeggere. Âdi Shankarâchârya dette un severo monito all’uomo: “Non siate orgogliosi della vostra gioventù, della ricchezza e della progenie: l’onda del tempo può distruggerle in un istante.” Riponendo la loro fede in questi possessi temporanei, gli uomini dimenticano le verità eterne e la fonte della vera beatitudine. Qualunque ricchezza terrena possiate accumulare, di qualunque divertimento possiate godere, soltanto la fede in Dio vi darà la pace vera della mente. Un condizionatore d’aria può rinfrescare il corpo, ma solamente la grazia di Dio può rinfrescare il cervello surriscaldato e il cuore confuso; quella grazia sarà data a chi è grato ai genitori e rende loro un servizio amorevole. A partire da vostra madre, dovete essere grati al padre e al precettore; se mostrate gratitudine a questi tre, giungerete alla presenza del Dio Uno e Trino in loro e raccoglierete il frutto dell’adorazione della Trinità Divina, cioè di Brahmâ, Vishnu e Shiva.

Correggere i figli è dovere dei genitori

È una sfortuna che il novanta per cento dei bambini siano oggi rovinati dai genitori stessi che non esercitano un controllo opportuno su di loro; se le azioni sbagliate dei figli vengono corrette sul momento, essi crescono nel modo giusto. I genitori non dovrebbero mostrare alcuna indulgenza verso i figli che deviano; è il loro affetto malriposto a lasciare privi di correzione i figli che sbagliano. A che serve avere dei figli che non seguono la rettitudine? Che cosa guadagnò Dhritarashtra dai suoi cento figli malvagi? Egli non li riprendeva a dispetto degli avvertimenti di Krishna e Vidura; infine la famiglia intera fu cancellata. Non ha senso gioire quando nasce un figlio; il tempo per gioire verrà quando crescerà, si guadagnerà un buon nome e una buona fama portando così onore ai suoi genitori. Ogni figlio dovrebbe far contenta sua madre e chiederle nient’altro che amore e benedizioni. Ella dovrebbe sforzarsi di tenere i figli sulla retta via. Soltanto madri e figli simili meritano un buon nome. Quando madri e figli agiscono correttamente, la nazione si sviluppa secondo linee giuste e la rettitudine si espande dalla famiglia a tutto il mondo. Ci sono genitori che chiedono ai figli che vanno da Swami: “Che pazzia ti ha preso? Perché vai da Sai?” Quale forma di pazzia desiderano questi genitori per la loro progenie? Vogliono che diventino dei rissosi e picchiatori? Vogliono che siano matti per i soldi? Che cosa darà loro il denaro che possa eguagliare la grazia di Dio? Ciò che ognuno dovrebbe cercare è la grazia di Dio che è un tesoro più grande di tutte le ricchezze del mondo.

Dio è la meta della vita umana
Niente dovrebbe intralciare la vostra ricerca di Dio. Dovete essere pronti a qualunque sacrificio o ad affrontare qualsiasi opposizione per amore di Dio. Prahlâda affrontò la collera e l’odio di suo padre Hiranyakashipu nell’aderire alla sua fede in Nârâyana; Vibhîshana si separò da suo fratello Râvana quando questi ostacolò la sua devozione per Râma. Se vostra madre avversa la vostra devozione per Dio, dovete esser pronti ad abbandonarla come fece Bharata quando Kaikeyî cercò di separarlo da Râma. Mîrâ fu pronta a lasciare suo marito piuttosto che abbandonare la sua devozione per Krishna. L’imperatore Bali rifiutò il consiglio del suo guru Shukrâchârya quando questi gli suggerì di non mantener fede alla promessa fatta a Vâmana (Vishnu). Questi sono esempi di devoti che non si tirarono indietro nel difendere la loro devozione per Dio. Il raggiungimento di Dio è la meta e il destino della vita umana. Dalla nascita in poi, la sofferenza insegue l’uomo per tutta la vita in una forma o nell’altra. Se vuol mantenere l’equanimità e la pace nell’affrontare tutti questi travagli, egli deve vivere rettamente con salda fede in Dio. Non occorre abbandonare i doveri normali di uno studente o di un capofamiglia, ma si dovrebbe fare ogni cosa come un’offerta a Dio, in modo che ogni azione ordinaria diventi sacra. L’amore per Dio dovrebbe esprimersi sotto forma di consacrazione di ogni azione. Questo è il Mio Messaggio per voi in questo sacro giorno.


Brindâvan, Whitefield (Bangalore), 6 maggio 1987,
Giorno di Îshvarâmmâ

(Da “Sanâtana Sârathi”, maggio 2011)