19830831 - 31 agosto

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Discorso Divino
Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba
31 agosto 1983

Perché viene l’Avatâr?


Coltivate l’amore intenso per Dio al fine di raggiungerLo

Deho devâlayah prokto jîvo devassanâtanah
“Il corpo è un tempio, e Dio vi risiede.”


L’Eterno Supremo risiede nel tempio del corpo umano. Tutti gli Avatâr assumono questa forma perché esso è sommamente sacro. Nella Gîtâ, il Signore Krishna dichiara di essere, nell’uomo, il potere di discriminazione o intelletto (buddhi). L’uomo non può ottenere la grandezza neppure se acquisisce tutte le forme di ricchezza: è l’intelletto a farlo grande. Chi non mette in atto questo potere di discriminazione non è migliore degli uccelli o delle bestie. Dio discende come Avatâr, che significa “discesa”, per elevare l’uomo a un livello superiore. Come una madre si china per sollevare il suo bambino e coccolarlo, Dio scende al livello umano per sollevare l’uomo che è intrappolato nella rete di effimeri desideri e insignificanti miraggi. Egli gli insegna come diventare divino. Questo è l’insegnamento della Gîtâ, della Bibbia e delle altre Scritture, ma queste non possono redimere l’uomo da sole; servono soltanto da cartelli indicatori, mostrano la via da prendere per raggiungere il Divino.

I pellegrinaggi non cancellano i vostri peccati
Tutti gli Avatâr sono Pûnrnâvatâr (Incarnazioni di Dio in tutta la Sua Gloria). Hanno tutti gli attributi del Divino, ma le Scritture (le Shâstra) affermano che soltanto il Signore Krishna è stato l’Incarnazione completa con tutti e sedici gli aspetti del Divino. Nonostante la Sua onnipotenza, Krishna era facilmente avvicinabile dai Suoi devoti e si sottometteva a loro. Quando siamo colmi di devozione, il Signore è pronto a servirci come un domestico. Il Signore è sempre pronto ad assoggettarSi a qualunque tipo di difficoltà o supplizio per proteggere o aiutare i Suoi devoti. Anche le Scritture dichiarano che il Divino si sottomette alla devozione. Molti devoti hanno cantato canzoni in lode a Krishna e si sono rammaricati di non essere stati così fortunati da nascere durante il Suo Avvento, in modo da godere della Sua divina musica e assistere alle Sue imprese, ma gli ottusi scettici non possono abbandonare i loro meschini desideri e cercare la beatitudine che deriva dalla devozione al Divino.
Molti devoti fanno pellegrinaggi a Benares, a Prayâg o altri luoghi sacri nella speranza che i loro peccati vengano così perdonati, ma i pellegrinaggi non sono il mezzo per lavar via i peccati; ciò che necessita è la purificazione del cuore e della mente. Se la mente viene purificata con la disciplina spirituale, la Divinità si rivela spontaneamente. Mîrâ comunicò lo stesso messaggio quando cantò il bhajan in cui si sollecita la mente ad andare verso il Gange e lo Yamunâ. Questi non sono i due fiumi dell’India del Nord, ma le nâdî “idâ” e “pingalâ” (i canali sottili della colonna vertebrale) nel corpo umano. Il punto centrale tra le sopracciglia è il prayâg, il luogo in cui i due convergono, concentrandosi sul quale si può scoprire Krishna. Mîrâ afferma che questo punto è fresco, puro e indisturbato. L’inspirazione (pûraka) e l’espirazione (rechaka) rappresentano ciò che dovremmo accettare e rifiutare, mentre il trattenere il respiro (kumbhaka) indica ciò a cui ci dovremmo tener stretti, vale a dire la Divinità. Bisogna accogliere tutto quello che è puro e rigettare la totalità dell’impuro.

Il Signore risponde all’anelito dei Suoi devoti

La Gîtâ ha stabilito tre direttive: non aver paura delle difficoltà, non dimenticare Dio, non adorare ciò che è falso. È aderendo a queste tre ingiunzioni che, attraverso le ere, innumerevoli devoti hanno cercato di raggiungere il Divino tramite la disciplina spirituale. Il Bhâgavata mostra come il Signore risponda al desiderio dei devoti e lenisca il tormento che patiscono per la separazione da Lui. Quando Krishna partì per Mathurâ, le gopî (pastorelle) si struggevano nel dolore incapaci di sopportare la separazione e guardavano continuamente in quella direzione in attesa di vederLo tornare. Un giorno, videro una nube di polvere e pensarono che Egli avesse alla fine ceduto e stesse tornando a Gokul. Esse videro un uomo su un carro che si fermò, ma non si trattava di Krishna. Avendo consegnato i loro cuori completamente al Signore Supremo, le mandriane non avevano in animo neppure di guardare lo straniero che altri non era che Uddhava, l’amico carissimo di Krishna. Questi, consapevole dell’angoscia delle gopî, aveva mandato Uddhava a consolarle. Non appena fu sceso dal carro, egli prese a esortarle: “O pastorelle! Voi ignorate le Scritture, non avete saggezza, per cui soffrite per Krishna. Quando conoscerete le Scritture, comprenderete che Egli è sempre con voi, che risiede nel vostro cuore. Invece di gioire della Sua presenza in voi, vi struggete per la Sua Forma; questo è dovuto alla vostra ignoranza. Krishna mi ha inviato affinché vi insegni la scienza dello yoga.”

La devozione vera delle gopî
Le gopî non ritenevano corretto parlare direttamente a uno sconosciuto e adottarono l’espediente di inviare un’ape a dare la loro risposta a Uddhava, per cui dissero: “O ape! Queste parole alimentano il fuoco che brucia in noi per la separazione da Krishna. Non vogliamo sentirne altre.” Allora Uddhava porse loro la lettera di Krishna e disse: “Qui c’è il messaggio di Krishna per voi: almeno leggete questo.” Una di loro disse subito: “O ape! Noi siamo paesane illetterate, siamo strette dal dolore. Mostraci Krishna.” E un’altra lamentò: “L’angoscia per l’assenza di Krishna ci brucia; se tocchiamo la Sua lettera potremmo ridurla in cenere. Non osiamo toccarla.” Un’altra ancora disse: “Le lacrime dei nostri occhi macchieranno i caratteri della missiva di Krishna che sono come perle: non possiamo sopportare di vedere il Suo messaggio macchiato.” Uddhava allora disse: “Ascoltate almeno il messaggio. Io vi insegnerò lo yoga.” Una gopî, incapace di controllare il suo dolore, rispose rivolgendosi all’ape: “O ape, noi abbiamo una sola mente ed essa è andata a Mathurâ con Krishna. Se avessimo quattro menti potremmo dedicarne una allo yoga, un’altra a qualche altro argomento e così via, ma l’unica mente che avevamo è stata offerta a Lui. Non abbiamo spazio per alcuna lezione di yoga.” Uddhava rimase stupefatto nel constatare la loro devozione unidirezionale a Krishna.
L’essenza di tutti i Veda e delle Shâstra è l’unidirezionalità; essa porta alla devozione diretta solamente a Dio. Uddhava rifletté sul fatto di non aver coltivato la devozione unidirezionale che le gopî mostravano. Tra di esse, le più devote a Krishna erano Râdhâ e Nîraja. Prima di andar via, Uddhava incontrò Râdhâ. Ella pensava soltanto a Krishna e implorava una Sua visione per alleviare l’angoscia nel cuore. A essa, che giaceva incosciente su una duna di sabbia, chiese se non avesse alcun messaggio per Krishna. Râdhâ,, riprendendosi un poco, lamentò:


“Se Tu fossi un albero, che cresce in alto
io mi aggrapperei a Te come un rampicante;
se fossi un fiore che sboccia, volerei su di Te come un’ape;
se fossi il monte Meru, scenderei a valle da Te come un fiume;
se fossi il cielo infinito, sarei in Te come una stella;
se fossi l’oceano senza fondo, mi fonderei in Te come un fiume.
Dove sei, o Krishna?
Dove sei andato, o Krishna?
Non hai pietà, o Krishna, Krishna.”


L’amore per Dio è il mezzo e lo scopo
Nel vedere Râdhâ in quello stato pietoso, il cuore di Uddhava si sciolse. Egli comprese che Krishna l’aveva mandato in missione presso le gopî per fargli imparare che cosa sia la vera devozione. Capì che Krishna aveva inscenato quella commedia per dimostrargli che anche coloro che sono molto esperti nelle Shâstra devono apprendere la verità nascosta della vera devozione dall’esempio di quella unidirezionale e genuina esibita dalle gopî. L’amore per Dio è il mezzo e lo scopo: questo è il segreto svelato dalle gopî. Esse vedevano l’amore in tutto, lo riconoscevano nella musica del flauto di Krishna che ne riempiva il mondo e ne inondava la terra inaridita. Dio è in tutti, ma, per raggiungerLo, c’è una sola via: quella di amarLo intensamente. Il giorno della nascita di Krishna in noi è quello in cui ci impegniamo a maturare un simile amore per Dio. Krishna non nasce ogni giorno di Gokulâshtamî: Egli nasce in noi quando cerchiamo di sviluppare l’Amore Divino come strumento atto a superare i nostri vincoli. Vivere secondo gli Insegnamenti di Krishna è il vero modo di celebrare il Suo Compleanno.


Prashânti Nilayam , 31 agosto 1983,
Festività di Krishnâshtamî
2° Discorso

(Da “Sanâtana Sârathi”, agosto 2011)