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20020521 - 21 Maggio

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Discorso Divino
Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba
21 Maggio 2002

Râma, ineffabile attore


“La vita di colui che possiede un cuore estremamente sacro,
pieno di pace e sicurezza;
la vita di colui le cui parole sono colme di Verità;
la vita di colui il cui corpo partecipa ad attività utili agli altri,
è una vita benedetta.
Nemmeno l’influenza del Kali Yuga può turbarlo.”


Incarnazioni dell'Amore!
Colui che possiede un cuore pieno di Compassione, che dice parole di Verità, e le cui mani prendono parte ad attività utili al prossimo, non potrà essere toccato dagli effetti del Kali Yuga  e sarà protetto. Ai giorni nostri gli influssi del Kali Yuga  causano a tutti difficoltà, senza distinzione fra una persona o l'altra.
Râvana sapeva che sarebbe morto entro pochi minuti. Molta brava gente, yogî  ed eruditi si radunarono intorno a lui e gli dissero: “Râvana, hai compiuto molte azioni, hai fatto molte opere buone e preso parte a tante altre malvagie. Fra tutte le tue azioni, qual è la migliore? Lo vogliamo sapere; per questo te lo chiediamo.”
Egli rispose: “Carissimi! Colui che decide di compiere buone azioni, che aspira a svolgere del sacro servizio a Dio e che vuole compiere azioni meritevoli non dovrebbe rimandare. Non appena sorgono dal vostro cuore buone decisioni, buone influenze e buoni pensieri, dovreste cercare di agire subito. Non si deve aver paura di nessuno. Non è bene rimandare. Santificate il vostro tempo con azioni sacre. Una volta decisi di costruire una scala che portava dalla terra al paradiso; aspiravo a cambiare, da salato a dolce, tutto il mare intorno a Lankâ e offrirlo a tutti. Decisi inoltre di offrire felicità e agi a tutte quelle forme di vita che stavano soffrendo all'inferno. Tuttavia, finora, non ho mai iniziato tali imprese, non ho mai attuato questi progetti, queste decisioni tanto sacre. Perciò, voi dovreste cercare di compiere queste azioni sacre, di avere una buona condotta, di avere buoni pensieri e attuarli non appena sorgono nel vostro cuore. Questa è la Verità che ho riconosciuto.”
Decidiamo di fare tante cose al mondo. Tuttavia, nonostante siano decise, non le mettiamo in pratica. Sprechiamo così la nostra vita, rimandando e dicendo: “Domani, domani, domani.” Bisognerebbe andare avanti nell'avere buoni comportamenti, bisognerebbe impegnarsi in attività sacre e trasformare in azione i buoni pensieri. Questo è ciò che, d'importante, l'uomo dovrebbe fare.
Râvana compì molte azioni, ma, fra queste, non s'impegnò ad attuare nessuna buona decisione. Fece solo cose cattive, malvagie e crudeli. Nonostante aspirasse a compiere molte buone cose, guadagnandosi così una buona reputazione, in pratica la sua vita ne è stata la contraddizione.

 

 

“Mi chiamo Kabandha”
Dopo che Râvana rapì Sîtâ, Râma e Lakshmana girarono la foresta in lungo e in largo per trovarla. In un determinato luogo, incontrarono uno strano individuo. Egli non aveva testa, e il suo volto era sullo stomaco. Vedendo una tale deformazione, Râma e Lakshmana compresero immediatamente che si trattava di un demone.
Dalla bocca, situata al centro dello stomaco, usciva una grossa lingua. Essi si avvicinarono a questo essere così deforme e Lakshmana chiese: “Chi sei? Perché stai vivendo in queste condizioni? Non hai collo!”
“Signore”, egli rispose. “La mia storia è stupefacente. Mi chiamo Kabandha. Ognuna delle mie braccia è lunga 10 miglia (circa 16 km – N.d.T.). Posso catturare qualunque animale nel raggio di quella distanza e mangiarlo. Non ho bisogno di camminare per questo: posso riempirmi lo stomaco ovunque sia la preda. Capirete, dunque, com'è stupefacente la mia situazione. E voi chi siete? Perché vi siete inoltrati in questa foresta terrificante? Guardandovi, sembrate delicati. Avete delle frecce. Siete davvero molto belli. Sembrate due principi. Qual è il vostro regno? Perché siete venuti in questa foresta?”
La parola di Râma era Verità. Noncurante delle situazioni, Egli non diceva altro che la Verità. Perciò , anche quella volta, disse il vero: “Signore, siamo venuti nella foresta per non andare contro le parole di nostro padre. Per ubbidirgli stiamo trascorrendo il nostro tempo qui. Ma ora Io sto soffrendo a causa della separazione da Mia moglie. Qualcuno l'ha rapita e noi stiamo cercando di scoprire dove sia. Per favore, scopri la verità e rivelaci dov'è, in che situazione si trova e se è ancora viva oppure è morta.”
Kabandha rispose: “Signore, prima riducimi in cenere. Dopo essere stato incenerito, ti darò tutti i dettagli.”
“Che cosa significa?” - pensarono Râma e Lakshmana. “Dopo essere stato incenerito, in che condizioni sarà? Come potrà essere in grado di parlare? Se già adesso non possiede una gola, dove ne prenderà una dopo morto? Questa sua forma demoniaca è la conseguenza di una maledizione. Comunque sia, che cosa importa? Faremo ciò che chiede.”
Così lo uccisero e lo cremarono. A quel punto Kabandha assunse una forma straordinariamente bella. Si avvicinò loro e disse: “A causa di peccati commessi, sono stato colpito da alcune maledizioni e ho assunto queste sembianze. Mi è stato detto che coloro che avrebbero incenerito questa forma, sarebbero state incarnazioni di Dio, che, per inscenare una recita in questo mondo, avrebbero subìto dei danni. In realtà essi non provano alcuna sofferenza né alcun problema può toccarli; tuttavia, inscenano tutto questo come parte del dramma divino. Râma è l'incarnazione divina. Râmachandra è il suo Nome. Suo fratello è Lakshmana. Nonostante siano forme di Dio, saranno soggetti alla sofferenza.” Questo fu ciò che Kabandha disse.
Poi aggiunse: “Râma, la tua Sîtâ è a Lankâ. Ti rivelerò molti metodi astuti per salvarla. Nessuno può toccarla. Ella è casta e pura. Chiunque la tocchi, sarà ridotto in cenere. Voi tre siete venuti qui insieme e state inscenando un dramma nel mondo, e recitando molte parti in esso. Penso che incontrerai Sîtâ molto presto e che tornerai ad Ayodhyâ. Le mie parole sono sempre vere. Possa Tu sperimentare molto presto pace e felicità.” Disse questo e sparì con quel (nuovo) corpo etereo.
Ma prima di andarsene aggiunse dell'altro. Sugrîva era figlio del Dio del sole. Sugrîva e Vâli erano fratelli. Vâli fece perdere il regno a Sugrîva e lo sottopose a molte difficoltà. Vâli e Sugrîva erano entrambi altamente valorosi e molto forti. Tuttavia Vâli recò a Sugrîva dei grossi danni, fra i quali quello di obbligarlo ad allontanarsi da Kishkindha (il loro regno – N.d.T.).
Quando perciò Kabandha lasciò totalmente il corpo, disse a Râma di fare amicizia con Sugrîva. Disse questo e morì. “Dov'è Sugrîva? Qual è la sua storia?”, si chiedeva Râma, mentre vagava. Nonostante conoscessero tutto, stavano inscenando una recita. Comunque sia, alla fine incontrarono Sugrîva e, grazie a lui, ebbero informazioni riguardo a Sîtâ.
Le loro armate (di Râma e Sugrîva) erano arrivate vicino a Lankâ. Era ora necessario entrare nella città. C'era però un immenso oceano a frapporsi come ostacolo. Chi poteva attraversarlo? Tutti dicevano: “Io non lo posso fare. Io non posso.” Proprio come dice il detto “evitar di lavorare, ma esser pronti a mangiare”, così gli uomini dell'esercito dicevano: “Non posso svolgere io questo compito.” Essi dissero: “Hanuman è in grado di farlo.” Egli infatti accettò e disse: “Sono pronto a tutto, pur di eseguire gli ordini di Râma.”

 

Il litigio tra Vâli e Sugrîva
Nessuno è facilmente in grado di comprendere il litigio fra Vâli e Sugrîva. Vâli era malvagio. Sugrîva era molto coraggioso. Per di più era anche amico di Râma. Però, quando arrivano tempi cattivi, persino la mente di uno come lui cambia.
Nella sua ricerca di Sîtâ, Râma sperimentò un intenso dolore. Tuttavia molto tempo venne sprecato prima che ci si mettesse in cerca di Sîtâ, perché Sugrîva dubitava: “Da dove viene Râma? Chi è veramente Lakshmana?”
Tempo prima Vâli aveva lottato e ucciso il demone Dundubhi. Vâli aveva lanciato il cadavere del demone sulla cima della montagna Matangi (Rishyamûka), dove il Saggio Matanga stava meditando. Egli stava facendo austerità ascetiche proprio in quel luogo, perciò venne sporcato dal sangue del demone. Matanga tuonò: “Chi ha spruzzato questo sangue impuro sul mio corpo, mentre sto facendo delle sacre austerità?” Dicendo queste parole, chiuse gli occhi e lanciò una maledizione: “Colui che ha lanciato questo cadavere, chiunque sia, avrà la testa spaccata in mille pezzi. Inoltre, se cercherà di salire su questa montagna, morirà.”
Venuto a conoscenza della cosa, Sugrîva (che voleva salvarsi da Vâli, il quale voleva ucciderlo – N.d.T.), insieme con i suoi sudditi e Hanuman, cercò rifugio sulla montagna e lì si stabilì. Vâli fece diversi tentativi di raggiungere il fratello per ucciderlo, ma gli fu sempre impossibile. Non riusciva ad avvicinarsi alla montagna. A quel punto, Sugrîva decise di sconfiggere Vâli.
Un giorno, dalla cima della montagna, Sugrîva vide due meravigliosi e luminosi giovani avvicinarsi: “Chi sono questi principi? Sembrano figli di un re. Sono capitati qui per passatempo?” Sugrîva si fece molte domande. Hanuman, che era figlio del Dio del vento - vero? - in un attimo cambiò forma, scese verso i due giovani e parlò con loro molto gentilmente.
Le parole di Hanuman e la conversazione che tenne furono dolci e gentili. Le sue parole furono delicate e dolci. Râma riconobbe un tale linguaggio e pensò: “Chi è? Sembra essere un autentico bramino.” Dunque, gli chiese: “Mio caro, da dove vieni?” “Sono un ministro di Sugrîva”, egli rispose.
“Bene. Siamo proprio venuti da Sugrîva su suggerimento di Kabandha”, replicò Râma. A quel punto Hanuman fece sedere sulle sue spalle Râma e Lakshmana e li portò sulla cima della montagna. La conversazione fra Hanuman e Râma fu molto dolce e avvenne in sanscrito.
Hanuman spiegò a Râma tutta la situazione di Sugrîva ed Egli concluse che non c'era colpa in Sugrîva: “È solo una montatura creata da Vâli, il quale ha incolpato ingiustamente Sugrîva di aver preso la malvagia decisione di impossessarsi del regno. Vâli è stato inflessibile e ha obbligato Sugrîva ad andarsene.”
Bene: dopo aver lasciato il regno, (per riconquistarlo) Sugrîva avrebbe dovuto fare amicizia con Râma. Sugrîva pensò: “Se voglio creare un'alleanza, devo scoprire se l'alleato è o no più potente di me. Se voglio lottare contro qualcuno, vincerò solamente se mi alleo con chi è più potente del mio nemico. Se infatti mi alleo con qualcuno più debole del mio avversario, perderò.”
Sugrîva prese una decisione: “Râma, mio fratello maggiore è molto potente. Egli è molto forte e anche virtuoso. In caso Tu dovessi lottare contro di lui, sarebbe necessario capire se in Te c'è abbastanza forza oppure no.” “Scoprilo, in qualunque modo tu voglia”, rispose Râma.
“Una volta, Vâli scoccò una freccia che trafisse 5 alberi di tâti(1). Passò attraverso 5 alberi e si conficcò nel sesto. Quel tipo di albero, si sa, è molto grosso; non è quindi cosa facile per chiunque trafiggerlo con una freccia. Sarà Râma capace di fare altrettanto?” Con questo pensiero, Sugrîva portò Râma vicino ad alcuni alberi di tâti  e disse: “Ecco qui 4 alberi. Scocca una freccia e stiamo a vedere.”
Râma era sempre sorridente, non Lo si vedeva mai soffrire. Con calma estrasse una freccia e la scoccò. La freccia attraversò i 4 alberi, poi altri 4, poi altri 4 ancora, uscendo da questi ultimi a gran velocità. Sugrîva disse: “È Lui quello giusto! Con un amico simile, raggiungerò il mio scopo.”
Poco dopo, Sugrîva consultò Râma e Gli disse che Vâli avrebbe dovuto essere ucciso in qualche modo. Râma, dopo aver pianificato tutto, un giorno disse a Sugrîva: “Preparati per domani. Vai, posizionati a 10 miglia da Kishkindha e mettiti a urlare.” Non appena Sugrîva fece il primo grido, Vâli uscì correndo.
Târâ, la moglie di Vâli, era molto virtuosa. Afferrò entrambe le mani di Vâli e disse: “Non è bene che tu adesso vada. Il motivo del suo comportamento è che Sugrîva ha sviluppato una grande forza. Si dice abbia fatto amicizia con dei principi. In base alla situazione e al momento, non dovresti affrettarti in questo modo, senza pensare al prima e al poi. È detto:

“A proposito del lavoro che deve essere compiuto,
considerando adeguatamente il bene e il male in esso,
se lo si compie senza pensarci, esso si trasformerà in veleno.”

“Si trasformerà in veleno. Agisci quindi con cautela.” Con queste parole, Târâ fece rientrare Vâli in casa. Târâ era molto virtuosa, possedeva un buon potere e grandi capacità. Il suo potere di osservazione era grande, così come lo era la sua intelligenza. Diceva solo la Verità. Tutte queste sono le qualità dharmiche di una moglie casta.
Il giorno dopo Râma disse a Sugrîva di riprovare. Questa volta, appena Sugrîva si mise a urlare, Vâli non ascoltò le parole di Târâ.
Râma non avrebbe dovuto entrare nella città di Kishkindha. Perché? Perché aveva promesso a Suo padre che avrebbe trascorso 14 anni in esilio (nella foresta), senza vivere nelle città. D'altro canto (affinché il piano riuscisse), non si poteva mandare Sugrîva senza che Râma fosse con lui. La lotta fra i due (Râma e Vâli), perciò, sarebbe dovuta avvenire fuori delle mura della città. Sugrîva, dunque, gridò dalla valle della montagna. Non appena lo fece, Vâli arrivò correndo. E così i due lottarono tutto il giorno. I loro corpi erano ricoperti di sangue.
Râma aveva fatto a Sugrîva una promessa: “Ti proteggerò.” Tuttavia, poiché Vâli e Sugrîva erano uguali, a Râma fu impossibile distinguere chi fosse l'uno e chi fosse l'altro.
Incapace di sopportare il dolore, Sugrîva tornò indietro. Ritornò, e Râma lo consolò dicendogli parole dolci e tranquillizzanti, dandogli coraggio e forza. Poi gli disse di prepararsi per il giorno dopo: “Mio caro, tu e tuo fratello siete entrambi figli della stessa madre. Avete perciò la stessa forma. I vostri muscoli sono uguali. Perciò, per distinguervi, Lakshmana andrà a raccogliere dei fiori nella foresta e ne farà una ghirlanda.”Râma la mise poi al collo di Sugrîva.
Il giorno seguente Sugrîva andò a combattere con la ghirlanda al collo. Durante la lotta, Râma riconobbe la ghirlanda e immediatamente tirò una freccia a Vâli, il quale cadde a terra. Però non morì subito. Rimase vivo. Vista la situazione, Râma gli si avvicinò: “Vâli, il peccato da te commesso è stato rovinoso per Sugrîva. La moglie del proprio fratello minore deve essere considerata come una madre. Tu, invece, hai allontanato Sugrîva non permettendogli di rimanere in città e hai anche preso sua moglie. E c'è dell'altro: hai accusato Sugrîva di cose che non aveva mai commesso. Non mi piacciono le bugie; per questo ho promesso a tuo fratello minore che ti avrei ucciso.”
Vi ho già detto che Vâli era molto intelligente, vero? Per questo egli rispose: “Râma, sei davvero grande. Ma qual è lo scopo per cui sei venuto nella foresta?” Se Gli veniva chiesto, Râma rispondeva che era stato per ubbidire alla promessa fatta (a Kaikâ) da Suo padre. Fu dunque (apparentemente) sbagliatissimo da parte Sua uccidere Vâli mentre combatteva. “Questa faccenda è qualcosa che assolutamente non Ti riguarda, affermò Vâli. Noi siamo fratelli e questa situazione critica si è verificata poiché entrambi volevamo il regno. Avermi ferito, quindi, non è giustificabile.”
Râma rispose: “Vâli, ciò che dici è giusto. Tuttavia, quando desidero uccidere degli animali, come devo fare? Lo si fa nascondendosi dietro un albero. Coloro che uccidono gli animali, non lo fanno mettendosi di fronte ad essi. Il fatto è che tu sei un animale; per questo colui che ti vuole uccidere si deve nascondere dietro un albero.”
Vâli rispose: “Va bene, lo hai fatto da dietro un albero; ma come sarebbe stato meglio se mi fossi venuto davanti, avessi mostrato il Tuo volto e mi avessi detto: ‘Sto per ucciderti!' ”
“Vâli, conosco bene il potere che possiedi. So bene che chiunque ti si ponga di fronte per lottare, perde metà della sua forza, perché essa viene da te assorbita. Per questo non ho lottato mettendoMi di fronte a te”, replicò Râma.
In questo modo, Râma spiegò molte morali presenti nelle Scritture. “Ciò che ho fatto è corretto. Tu hai commesso un gravissimo peccato; dovresti dunque sperimentare la conseguente punizione.” Vâli e Râma discussero a lungo; tuttavia Vâli non poté vincere con nessuna argomentazione.
Quando si stava avvicinando la fine, Vâli chiamò Râma vicino: “Râma, sto per morire”, e Gli fece fare una promessa: “Fa' che mio figlio diventi il principe erede al trono.” Râma glielo promise. Dopo la conclusione della cerimonia funebre, Râma incoronò Sugrîva re e Angada (il figlio di Vâli – N.d.T.) erede al trono. Poi liberò la moglie di Sugrîva.

 

Scontri tra fratelli
Nel Râmâyana  ebbero quindi luogo tre scontri fra tre coppie di fratelli. La prima fu la guerra di Vâli e Sugrîva; un'altra fu la guerra fra Râvana e Vibhîshana; la terza avvenne in Ayodhyâ, e fu quella fra Râma e Bharata. Due di queste tre lotte furono tipiche: Vibhîshana, il fratello di Râvana, pregò Râma di poterLo servire, causando, così, la morte di Râvana e diventando re di Lankâ. “Questa è un'ingiustizia”, potrebbe pensare la gente. Anche Sugrîva, chiedendo l'aiuto di Râma, ottenne l'uccisione di Vâli e divenne re di Kishkindha.
Nella lotta fra Râma e Bharata, invece, non ci fu alcuna traccia di astio né decisioni da prendere su chi avrebbe dovuto essere re. I tre fratelli di Râma erano concordi nel desiderare Râma come re. Infatti Lo pregarono: “Tu sei il fratello maggiore; nessun altro ha il diritto di essere re. Perdonaci!” Bharata, Shatrughna e Lakshmana Lo pregarono così. Perciò, fra queste tre lotte, solamente la divergenza fra Râma e Bharata era basata sul Dharma.
Râma espresse le Sue ragioni: “Devo seguire gli ordini di nostro padre. Non metterò piede ad Ayodhyâ.” Bharata protestò: “Fino a quando non verrai ad Ayodhyâ e non sarai incoronato, io vivrò (nel villaggio di Nandi) come se fossi nella foresta e non ad Ayodhyâ. Scusami.”
Il diverbio continuò da entrambe le parti in modo del tutto paritario. Alla fine Râma disse: “È il Dharma  di noi quattro obbedire agli ordini di nostro padre. Noi quattro siamo fratelli, siamo una sola cosa. Non c'è niente del tipo ‘questo regno è tuo o mio'. Che cosa c'è da discutere? Bharata è il re! Questi sono gli ordini di nostro padre.” Con queste parole, senza nessuna guerra, arrivarono a un accordo riguardo al regno. Molte altre discussioni avvennero in modo simile.
Râma diceva sempre la Verità. Non conosceva altro all'infuori della Verità.

Il più grande Dharma è la Verità.

“ La Verità Mi renderà vincitore; il Dharma  Mi conferirà la vittoria.” Con queste parole, grazie alla Verità e al Dharma , Egli aveva sempre successo. Alla fine anche Râma dichiarò guerra a Râvana, ma, prima di ucciderlo, lo elogiò: “Râvana è molto virtuoso. La qualità dei suoi pensieri è sorta in lui per colpa di una maledizione e non per colpa sua. La colpa è degli Dei(2) . È il peccato commesso da Jaya e Vijaya. In Râvana, quindi, non c'è traccia di colpa.” Con queste parole Râma lo perdonò.
Purtroppo, riguardo al rapimento di Sîtâ, le persone del mondo gracchiano come corvi. Per quanto Dharma  venga praticato, dagli altri non si sarà mai creduti. “Come può Sîtâ, rimasta a Lankâ per dieci mesi, essere casta?”, si chiedeva la gente del mondo (dubitando) in tutti i modi. Noncurante della purezza con cui trascorse la sua vita, il mondo trasformò la sua santità in qualcosa di empio. Per dare quindi soddisfazione al mondo, Râma la sottoposte alla prova del fuoco e solo dopo la riprese con Sé.
Persino il Dio del fuoco disse: “Sîtâ è senza colpa. Non hai alcun diritto di sottoporla a una tale prova. Come puoi Tu, Râma, proteggere il mondo quando infliggi una cosa simile a una donna tanto casta?” Essendo testimone di un fatto simile, il Dio del fuoco protestò.
Alla fine raggiunsero Ayodhyâ. Al loro arrivo furono dette molte parole. Infatti i sudditi felici del ritorno di Râma erano da una parte, mentre dall'altra c'erano le persone che, spinte dall'ira, dicevano maldicenze. Critica e lode; rigetto e accettazione: Râma sapeva bene che tutto ciò riguarda soltanto il corpo e non l' Âtma.

 

L’incarnazione della Verità
Quindi, in ogni argomento trattato nel Râmâyana , passo dopo passo, troviamo solo Verità e nient'altro.
In futuro, quindi, (prima di criticare) dovreste riconoscere la natura di Vâli e Sugrîva. Molte persone al mondo parlano di questo argomento beffardamente, mentre molte altre affermano criticando: “Râma fece amicizia con Sugrîva solamente per un Suo tornaconto. E uccise persino Vâli senza un motivo (specifico).” Râma non faceva mai niente senza una ragione. Non era tipo da agire senza un motivo.
Nel Râmâyana , quindi, ogni episodio, ogni evento e ogni lettera scritta è l'incarnazione della Verità, senza la presenza della benché minima traccia di adharma  o menzogna. Fu infatti il Dio del fuoco in persona a uscire dal fuoco sacrificale (e a offrire il pâyasam dal quale nacque Râma – N.d.T.). In quel momento Dio stesso s'incarnò come Râma.
Molte recite devono essere inscenate nel mondo e Râma recitò nel modo giusto. Anche il Râmâyana  è una recita della quale Râma fu regista e attore, e nella quale presero parte anche altre persone. Ci furono così tanti ruoli e così tante recite! Anche Râma recitò benissimo. Non è dunque possibile attribuire colpe a nessuna delle parti.
Il Râmâyana, nonostante sia antico di alcune migliaia di anni, è sempre attuale e sempre nuovo. Chi può dunque trovare errori in siffatto Râmâyana  sempre eterno? Nessuno può farlo. Possono esserci errori nello scrivere o nel creare (interpretare), ma il Râmâyana  scritto da Vâlmîki è il vero Râmâyana. Se perciò vogliamo comprenderne bene la natura, dovremmo pensarci un po', prendere tempo, indagare bene e selezionare la Verità.

 

Il matrimonio di Sîtâ e Râma
Tempo prima, in Mithilâ era stato celebrato il matrimonio fra Râma e Sîtâ. Persino le persone semplici e che non conoscevano nulla descrivevano Râma così: “Che tipo di persona è Râma? Egli possiede un cuore puro e sentimenti sacri. Tutti i Suoi atti e le Sue opere sono sacri. Perciò, venite! Assisteremo tutti a questo sacro matrimonio di Râma!”

“Avanti, avanti! Andiamo ad assistere al matrimonio di Râma!
Venite, venite! Andiamo a vedere!
Venite! Andiamo a vedere come tutte le donne si siano radunate
per assistere al matrimonio del figlio del clan di Badra.
Venite, venite! Andiamo ad assistere al matrimonio di Râma!
Venite, venite! Andiamo a vedere! Le donne sono incontenibilmente giubilanti,
ci sono palazzi stupefacenti, decorazioni di perle, campanellini alle finestre,
davanzali di diamante, e migliaia e migliaia di zaffiri sono disposti ovunque.
Venite, venite! Andiamo ad assistere al matrimonio di Râma!
Venite, venite! Andiamo a vedere.
Le signore indossano molti ornamenti e, di fronte alla corte,
Râma legherà il cordone sacro intorno a Sîtâ(3).
Entrambi hanno l’età giusta. È stato tutto ben organizzato. Râma è adatto a Sîtâ.
Le spose stanno di fronte ai loro sposi, con il capo chino per la timidezza.
Il saggio Vashishta è stato chiamato e,
con grande pompa, vengono portate le spade appartenenti agli sposi.
Venite, venite! Andiamo ad assistere al matrimonio di Râma!”

Dopo che le donne avevano cantato così da una parte, gli uomini rispondevano dall'altra:

"Avanti, andiamo a vedere il matrimonio.
Andiamo ad assistere al matrimonio del figlio di Kaushalyâ.
È detto che, coloro che vi assistono, sono altamente meritevoli.
Si dice che tale merito sia una grande fortuna.
Una tale devozione garantirà la Liberazione.
Venite, venite! Andiamo ad assistere al matrimonio!
Andiamo ad assistere al matrimonio del figlio di Kaushalyâ.
Râma risplende, seduto sull’elefante. Egli è raggiante.
I fratelli servono Râma e Sîtâ, la quale Gli è seduta in grembo.
Sorridendo, Egli chiede notizie sulla nostra salute.
Andiamo ad assistere al matrimonio.
Andiamo a vedere il matrimonio del figlio di Kaushalyâ!”

In questo modo, uomini e donne descrivevano le loro virtù: “Non c'è al mondo nessuno che sia migliore. Egli è Râma, la manifestazione di Dio.” Con queste parole Lo descrivevano non solo gli abitanti di Ayodhyâ, ma anche i residenti di Mithilâ.

 

Chi vive nella fede
Non c'è bisogno, dunque, di dubitare di Râma. Coloro che vivono avendo fede nei Suoi atti e nelle Sue virtù, non si allontaneranno mai da Dio. Colui che ha fede in Râma, non si rovinerà mai. Ci potranno essere coloro che non credono e, per questo, demoliranno se stessi, ma non esisteranno mai persone che si rovinino nonostante abbiano fede. No, nessuno al mondo.
Così come sono state scritte molte storie riguardo a Dio, potreste pensare che anche questa sia una delle tante. Questa può anche essere una storia, ma di chi? History  (storia), ossia: His story  (la Sua storia). His story, history !! Non c'è dunque bisogno di dubitare riguardo a una natura tanto sacra.
Prossimamente vi parlerò di altri punti sottili e segreti presenti in questo Râmâyana.
Ve l'ho già detto: la natura di Râma e Sîtâ è estremamente sacra, così come lo è quella di Kaikâ e Sumitrâ. Inoltre, la relazione di Râma con i Suoi fratelli è davvero misteriosa.
Kaikâ non era un'estranea. Ella insegnò a Râma la conoscenza. Ella tenne Râma più vicino a sé di quanto non fece con suo figlio Bharata e Gli diede un'altissima istruzione. Per colpa dei tempi e delle situazioni, su di lei ricadde una colpa inutile, mentre Kaikâ non ne aveva alcuna. Le storie fanno apparire le cose diversamente da come sono nel gioco di Dio!
Abbiamo ancora 10 giorni (di Corso Estivo) per parlare della natura del Râmâyana. Nei prossimi dieci giorni vi verranno rivelate cose molto nascoste, grandiose e segrete, cose che nessuno al mondo conosce. Le scoprirete in futuro.

“Com’è dolce! Gustatelo tutti!
Egli dolcemente toccò una pietra (Ahalyâ) che prese rifugio in Lui.
Cantate il Nome del Signore di Sîtâ, Râma!
Il pacifico, virtuoso, forte Hanuman canta gioiosamente il Nome di Râma.
Com’è dolce! Gustatelo tutti!”

(Poiché il bhajan che Baba sta cantando in telugu è nuovo e nessuno riesce a seguire, Egli lo interrompe dicendo: “Ve lo insegnerò domani, così poi potrò cantarlo!” - N.d.T.).


(Baba conclude il Discorso cantando: “Râma Kodanda Râma…”)

 

Whitefield, Sai Ramesh Krishan Hall, 21 Maggio 2002
Corso Estivo 2002
versione integrale



  1. Albero di tâti: è un albero africano e asiatico simile alla palma, dal quale si estrae sia del dolcificante sia un succo alcolico, e che produce noci di cocco.
  2. Jaya e Vijaya: guardiani della porta del Vaikuntha, la dimora di Vishnu, a causa di una maledizione furono costretti a incarnarsi per tre volte come demoni: 1) Hiranyâksha e Hiranyakashipu; 2) Râvana e Kumbhakarna; 3) Shishupâla e Dantavakra.
  3. Mangalasûtra, o filo della buona volontà (e del buon auspicio), è la collana indossata dalle donne indù come simbolo del loro matrimonio. In passato era il cordone che gli sposi si legavano reciprocamente come simbolo della loro unione nella buona volontà. Ai giorni nostri è lo sposo il solo a legarlo intorno al collo della sposa; in questo modo egli indica di averla ricevuta in moglie dal padre di lei.