Sathya Sai Italia

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198104 - aprile

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Discorso Divino
Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba
aprile 1981

Râma illumina tutti i ricercatori



La sorgente eterna della Beatitudine è l’Âtma

L’uomo ha fatto molti progressi nell’utilizzare le risorse naturali della terra per migliorare le condizioni di vita, ma né l’individuo né la società hanno trovato la via verso la pace e l’appagamento interiori.

Abbandonate la tendenza ad aumentare egoisticamente quanto possedete
L’invidia e l’avidità hanno inquinato le relazioni tra le nazioni e tra gli individui cancellando la consapevolezza dell’unità che sottende a tutta la Creazione. La causa principale di questa situazione disastrosa è un egoismo smisurato. Ognuno cerca di appropriarsi di qualunque cosa aumenti il suo potere e le sue comodità. L’ego sta rendendo tutti delle marionette; le parole e le azioni degli uomini riflettono questa tendenza all’accaparramento. Ogni mossa è determinata soltanto dai bisogni egoistici; non si fa alcun passo che non promuova il proprio interesse personale. Allo scopo di restaurare la pace nell’individuo e nella società, bisogna purificare la mente, in cui nascono i desideri e si prendono le decisioni, dal suo attaccamento all’ego. La mente ha i desideri come trama e ordito; quando essi sono orientati egoisticamente, si sprecano tempo e sforzi, il dovere viene trascurato, il corpo e le sue capacità usati male, e tutto questo mentre la vita viene sprecata e si accorcia ogni giorno. Con ogni secondo che passa, la vita gocciola via come acqua da un vaso bucato; l’uomo, però, non si rende conto della tragedia che incombe continuamente.
Incarnazioni dell’Âtma Universale!
L’uomo ha in sé la capacità di diventare un essere puro e divino, ma, per ignoranza e testardaggine, è diventato ottuso; ha incatenato se stesso a idee meschine cadendo così nella rete della paura e del dolore. Le Upanishad esortano l’uomo a svegliarsi e divenire padrone di se stesso.


Uttishtha jâgrata prâpya varânnibodhata
Sorgete, svegliatevi, accostatevi agli uomini nobili e imparate da loro il segreto per raggiungere la Divinità.


L’uomo è sopraffatto dal sonno dell’ignoranza; gli anziani, che conoscono l’eredità preziosa che egli sta sprecando, lo devono svegliare e istruire. L’ignoranza è causata dalla triade dei desideri (îshânatraya): attaccamento al coniuge, ai figli e alle ricchezze. Logicamente una persona deve avere il necessario per condurre una vita semplice, ma la ricchezza, accumulata oltre livelli ragionevoli, inebria l’io e nutre abitudini e desideri malvagi. Le risorse economiche devono essere considerate in amministrazione fiduciaria, da utilizzare per attività benefiche dirette alla promozione del vivere in rettitudine e assolvere i propri doveri verso la società.

La rinuncia è Vero Yoga
Bhârat è stata molto fortunata; nei secoli, ha avuto veggenti e saggi che hanno sostenuto il valore degli ideali elevati, e ha avuto l’esempio di Avatara (Manifestazioni) della Divinità. Ha sempre messo in primo piano l’Âtma che è il nucleo di ogni essere, un insegnamento che può infondere coraggio, appagamento, pace e armonia. È davvero patetico vedere gente che segue i capricci della mente e va in cerca della rovina invece di usare l’intelletto per discriminare tra il transitorio e il permanente; la mente dovrebbe esser controllata dall’intelletto, altrimenti le decisioni malvagie porteranno al dolore. Prendete decisioni buone e raccogliete la gioia. Si può certamente ottenere la pace duratura desistendo dai desideri e dalla tendenza a perseguirli. Se la mente è lasciata libera e padrona, l’uomo viene condotto da un’iniquità all’altra e perde il rispetto di se stesso, tiene in poco conto la legge, la giustizia, le regole e le prescrizioni del comportamento sociale e la sua vita diventa un correre convulso da un posto a un altro, da una cosa all’altra. Soltanto il distacco può dare la felicità. La rinuncia (tyâga) è Vero Yoga. Tre qualità vanno eliminate prima che l’uomo possa giungere al suo ruolo effettivo: l’ira che soffoca la saggezza, la concupiscenza che inquina l’azione, e l’avidità che distrugge l’amore per Dio e per l’uomo. La pietra di paragone che definisce un’azione meritoria è la rinuncia: se l’azione mira a se stessi, se aiuta l’ego a gonfiarsi, è un’azione errata.

Liberatevi dell’ira, della concupiscenza e dell’avidità
Ciò di cui Bhârat ha più bisogno oggi non è un credo o un “…ismo” nuovi, né una nuova società o un ideale diverso, ma uomini e donne che amino molto le motivazioni e i sentimenti puri e li seguano, persone che rinuncino all’ira, alla concupiscenza, all’avidità. La storia di Râma incarna questo messaggio vitale; è la crema dei Veda, un vero oceano di latte. Vâlmîki ha chiamato “Kânda”, un nome che significa “ la lunghezza della canna da zucchero”, le sezioni dell’epica Râmâyana; per quanto storta la canna possa essere, ogni suo pezzo è dolce come ogni altro pezzo. Similmente, l’epica è tutta ugualmente dolce e accattivante qualunque situazione venga descritta o emozione raccontata, che si tratti dell’incoronazione o dell’esilio, della vittoria o della sconfitta, dell’eroismo o dello scoramento, dell’amore o dell’odio, della gioia o del dolore. Nella storia di Râma ci sono due correnti di sentimento o stato d’animo predominanti: la corrente della Compassione rappresentata da Râma e quella dell’Amore rispecchiata da Lakshmana. È la fusione delle due a evocare la Beatitudine (Ânanda). Ânanda è la natura vera e propria di Râma; Egli è Bhagavân (Dio) Stesso anche se Vâlmîki non lo ha dichiarato esplicitamente, riferendosi a Lui come avente valore pari a Vishnu, ma non come Vishnu Stesso. È soltanto per bocca dei figli dello stesso Râma che il mistero viene rivelato. “Bhagavân” è composto di tre termini, di cui “Bhâ” significa “splendore”, “ga” indica “manifestazione” e “van” “Colui che è capace”, quindi “Colui che ha il potere di manifestare lo splendore” (Jyoti), la Jyoti Divina, la Jyoti dell’Âtma. Egli è anche “Colui da cui questo universo è emerso, e che è intento a sostenerlo” (Sambharta). Tutti coloro che adorano Râma come Creatore e Protettore dell’universo e come “Colui che emana l’Intelligenza e lo Splendore Cosmici”, hanno il diritto di essere riconosciuti come devoti (bhakta). Oggi, però, i ricercatori sono in maggioranza devoti a mezzo servizio, non sono sempre in unione con il Signore (satatam yoginah): sono degli yogin al mattino, dei bhogin (gaudenti) a mezzodì e dei rogin (malati) la sera!

Râma ha dato l’esempio per tutti
Râma illumina ogni ricercatore nel campo spirituale, in quanto Egli mise in pratica giornalmente tutto ciò che riteneva giusto e quindi costituisce l’esempio per ognuno, in ambito domestico, sociale, nazionale e umano. Egli sostenne l’ideale più alto di figlio ubbidiente e di capo ricettivo alle reazioni dei Suoi sottoposti. Come figlio, Râma osservò il dovere di rispettare la parola data dal padre (pitruvâkya paripâlana). La radice è la parola del genitore, il frutto è la Liberazione (moksha). La Liberazione è lo scopo finale, il destino inevitabile. Il germoglio trova la sua meta inevitabile nella nascita del frutto e nell’evoluzione di questo fino alla maturazione e alla dolcezza; questi tre stadi si susseguono. Come attestano i Veda, la gemma dell’azione (karma) diventa dapprima il frutto nascente dell’adorazione (upâsana), poi matura nel frutto della Saggezza (Jñâna). Râma mostrò nella Sua stessa vita questo processo dell’evoluzione interiore dell’anima nella sua consapevolezza. Egli fu l’incarnazione dell’aderenza assoluta alla Verità (Satya) e alla Rettitudine (Dharma). Solamente coloro che sono colmi di devozione per Râma possono immergersi in quella gloria. Egli è il grandioso ideale su cui potete meditare. Facendo così, potete assorbire e sviluppare le Sue virtù lentamente e silenziosamente. Un albero cresce in silenzio per anni prima di dar frutti; non li produce sul momento, in un istante. La palma da cocco, l’albero del mango e il giaca1 sono di questo tipo e i loro doni sono molti e pieni di nutrimento. Ci sono piante che danno frutti molto presto e muoiono poco dopo. La fama dei personaggi divini cresce con ogni parola che dicono e ogni azione che accettano di fare. La grandezza di Râma risplende luminosa persino dopo tanti secoli e brillerà fulgidamente ancora per ere. Râma significa “Colui che piace”. Niente compiace l’uomo più del suo Âtma che è sorgente di gioia inesauribile ed eterna. Bisogna preferire la consapevolezza dell’Âtma e la beatitudine che la sua consapevolezza dà, rispetto a tutte le altre gioie momentanee. L’Upanishad dice: “L’immortalità si ottiene soltanto con il sacrificio (tyâgenaike amrutattvamânasu).


Lal Bagh, Bengaluru, aprile 1981,
Golden Jubilee Hall

(Da “Sanâtana Sârathi”, aprile 2011)



1. Artocarpus heterophyllus, albero originario delle pendici meridionali dell'Himâlaya orientale (India). Oggi è diffuso alle basse latitudini in tutto il sud-est asiatico, sulla costa settentrionale dell'Australia, sulla costa atlantica del Brasile e, in misura minore, in altre regioni tropicali, inclusi alcuni Paesi dell’Africa. È una pianta tropicale della famiglia delle Moraceae, coltivata per il suo frutto, il più grande esistente in natura tra quelli che crescono dagli alberi. In italiano viene chiamato “giaca” (dal portoghese “jaca”) o “catala” (denominazione derivata dall’hindî “katahal”), ma è anche comunemente usata la denominazione inglese “jackfruit”.