Sathya Sai Italia

Home: Home / Discorsi Divini / DD1999 - millenovecentonovantanove / 19990506 - 06 maggio
A+ R A-

19990506 - 06 maggio

E-mail Stampa PDF

Discorso Divino
Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba
06 maggio 1999

 

L'emblema del sacrificio

 


La divinità di Rama fiorì  sotto le amorevoli cure di Kaushalia;
Lava e Kusha poterono diventare potenti e famosi grazie alla nobile
e virtuosa madre Sita; l’amore e le premure di Jijabai
fecero di Shivaju un grande guerriero;
nutrito dall’amore della madre Putlibai, Gandhi divenne un Mahatma.
C’è forse qualcuno a questo mondo che possa prendersi cura di voi
come fa vostra madre? Amma (mamma) è la prima parola che l’uomo pronuncia nella vita.
Si dà il caso che la prima lettera della parola Amma sia anche la prima dell’alfabeto.


Incarnazioni d’Amore,
in questo mondo vi sono molti tipi di relazioni, ma nessuno eguaglia quello che esiste fra madre e figlio. È per l’intima relazione con la madre che la terra natia è chiamata “madrepatria”. Per lo stesso motivo si parla di “lingua madre”, non già di “lingua padre”. Prima del padre, viene la madre. Non solo nella vita ordinaria, ma anche in quella spirituale, alle donne spetta il più alto rispetto.

Quando, ad esempio, citiamo le coppie divine, come Sita Rama, Radha Krishna, Laksmi Narayana, il nome della Divinità femminile viene per primo. Qual è il senso di ciò? La madre simboleggia la Natura, l’aspetto manifesto del Divino. Similmente, il corpo e lo Spirito, la creazione e il Creatore, sono strettamente collegati. Il corpo non potrebbe funzionare senza lo Spirito e lo Spirito non potrebbe essere sperimentato senza il corpo.

Nella Bhagavad Gita si parla di Svadharma e Paradharma. Sva si riferisce allo Spirito e Para al corpo. Tuttavia, oggi si crede erroneamente che Svadharma sia il Dharma della casta e della comunità, attinente ai vari brahmana, ksatriya, vaishya e shudra. Svadharma significa Atmadharma. La lettera Sa sta per Divinità, ma indica anche shalokya (contemplazione di Dio), samipya (vicinanza a Dio), sarupya (identità con Dio) e sayujya (fusione in Dio). Oggi l’uomo compie azioni avendo fiducia nel mondo esterno e ignorando che tutto ciò che è materiale è destinato a perire. Soltanto il divino Spirito è permanente ed eterno. Di fatto, l’Atma è la vera Madre: è sbagliato dimenticare questa madre divina.

La madre è il vostro primo Dio

Alla madre viene attribuita la massima importanza nella vita. Può esserci un figlio malvagio, ma non una madre malvagia. È a causa dei sentimenti nobili delle madri che i figli diventano virtuosi, intelligenti, celebri e affermati. Dichiarano i Veda: “Adora la madre, il padre, il maestro e l’ospite come Dio!” È la madre che vi alimenta e vi alleva, che conosce le vostre scelte e preferenze, che provvede a ogni vostra necessità. Pertanto, dovreste essere sempre grati a vostra madre.

Sebbene non possiate vedere Rama, Krishna Shiva e Vishnu, Li adorate perché credete nelle Scritture e nelle parole degli anziani; eppure, perché dimenticate i vostri genitori che si occupano della vostra crescita? Anzitutto, dovreste mostrare gratitudine verso di loro, amarli e rispettarli. Tutto ciò che avete – il sangue, il cibo, la mente, il denaro – sono doni dei vostri genitori; non è Dio a darveli direttamente.

Tutto quello che riguarda Dio è frutto d’esperienza indiretta: gli unici che potete vedere direttamente e amare sono i vostri genitori. Perciò, sono loro che dovreste adorare come Dio. Dio sarà soddisfatto e vi si manifesterà solo quando amerete e riverirete i genitori.

I bambini si ricordano il concetto di volpe e cane solo se ne vedono l’immagine; parimenti, solo dopo aver visto i genitori potrete comprendere l’esistenza di Dio. Solo amando e rispettando i genitori potrete imparare l’amore dei Genitori divini. Questo è ciò che spesso vi ripeto: se comprenderete il Principio dell’Io in voi, lo avrete compreso in tutti. L’individuo viene dalla società, la società dalla creazione e questa dal Creatore. Solo se comprendete il principio della creazione potrete comprendere il Principio divino.

È la madre che v’insegna i sacri principi dell’amore, della compassione, della pazienza, della tolleranza e del sacrificio. È la madre che indica al padre, il padre che vi porta dal maestro e il maestro che vi dirige verso Dio. Perciò la madre viene prima di tutti gli altri.

La donna è incarnazione di virtù

Quando Hanuman andò a Lanka in cerca di Sita, la trovò ad Ashkavana, seduta sotto un albero, circondata da demoni. Per Hanuman fu una vista molto dolorosa. Ritornò allora da Rama e disse: “Signore, ho visto Sita attorniata da demoni che la tormentavano con spade acuminate. Tremava come un uccellino in gabbia”.

Udendo ciò, Rama e Laksmana partirono immediatamente per Lanka con l’esercito dei Vanara, combatterono contro Ravana e lo uccisero. Hanuman, per ordine di Rama, si recò allora di nuovo da Sita per comunicarle la lieta notizia; le chiese quindi il permesso di punire i demoni che le avevano procurato tanta sofferenza, ma Sita rispose: “Hanuman, è dovere dei sudditi ubbidire ai sovrani. Come tu ubbidisci a Rama, essi eseguono i comandi del loro re. Non è dunque colpa loro, ed è ingiusto punirli. Io non ho sofferto per causa loro, ma per la separazione dal Signore Rama”. Così dicendo, narrò la seguente storia.

Una volta un cacciatore, inseguito da una tigre, salì su un albero. Sulla sommità, c’era un orso. La tigre, non potendo arrampicarsi, cominciò a girare intorno all’albero. Era molto affamata ed era decisa a mangiarsi l’uomo; quindi chiese all’orso di spingerlo giù in modo che potesse placare la sua fame. L’orso si rifiutò di farlo, affermando che il cacciatore era suo ospite ed era suo dovere morale trattarlo come tale. La tigre, però, continuò a girare sotto l’albero. Dopo un po’, l’orso si appisolò sul suo ramo.

Avendo notato ciò, la tigre chiese al cacciatore: “Uomo, ho molta fame. Non m’interessa che si tratti di carne umana o d’orso: l’importante è che io sazi la mia fame, dopo di che me ne andrò. L’orso sta dormendo: buttalo giù senza indugio e ti risparmierò la vita!” L’uomo non possedeva nemmeno la dignità di un orso e, pensando così di salvarsi la pelle, commise l’ingrata azione di spingere giù l’animale.

Fortuna volle che l’orso, cadendo, riuscisse ad afferrare un grosso ramo e a risalire sull’albero. Allora la tigre ripartì all’attacco: “Orso, non dovresti mai prestar fede agli uomini: il cacciatore ha tentato di farti del male nonostante tu lo abbia protetto e considerato un ospite. Che cosa aspetti dunque a gettarmi giù quel miserabile in modo che lo divori?” Per tutta risposta, l’orso disse: “Io ho compiuto il mio dovere. Ognuno deve affrontare le conseguenze delle proprie azioni, ma io non gli farò del male solo perché egli ha tentato di farlo a me”.

Narrando la storia, Sita affermò: “Indubbiamente, questi demoni, non sapendo che cosa siano la Verità e la Rettitudine, mi hanno causato grande dolore. Tuttavia, come consorte di Signore Rama, non posso abbassarmi al loro livello e ricorrere alla vendetta. Non voglio essere causa di sofferenza per alcuno”. Hanuman replicò: “Madre, essendo tu la magnanima e nobile sposa di Rama, essendo tu l’incarnazione del Dharma, non puoi che agire così. Ho sbagliato a pensare di chiederti il permesso di punire questi demoni irrecuperabili”. Sita, allora, gli rispose: “Hanuman, non solo io, ma tutte le donne, possiedono le nobili qualità della compassione e dell’amore”.

C’è un proverbio telugu che afferma che la casa rispecchia la natura della sua padrona. Salvo rare eccezioni, le donne non deviano mai dal sentiero della Verità e della Rettitudine neppure di fronte alle avversità. Quando il mendicante si presenta alla porta di casa, chiedendo l’elemosina, l’uomo spesso lo caccia via, ma la donna è sempre disponibile a dargli qualcosa.

Fra padre e figlio, possono insorgere problemi su questioni di proprietà, ma la madre cerca sempre di calmare il figlio con buoni consigli. Una madre pregherà sempre per il benessere del figlio, dovunque egli si trovi. Accade talvolta che ella si adiri o abbia un’opinione diversa, ma si tratta sempre di nuvole passeggere. Non dovreste trascurare i vostri genitori per seguire le follie della vostra mente.

Ishvaramma, madre divina

Ishvaramma, la madre di questo Corpo fisico, al momento della nascita, fu inizialmente chiamata “Namagiriamma”.
Dopo il matrimonio, Kondama Raju, il nonno di questo Corpo, essendo uno jnani, un saggio, e un conoscitore del futuro, cominciò a chiamarla Ishvaramma (madre di Dio). Egli era un adoratore di Venkhavadhuta, e la sua era una famiglia unita. Aveva due figli: il maggiore, Pedda Venkama Raju, era il padre di questo Corpo; il minore si chiamava Chinna Venkama Raju. Ma vivevano con lui anche i due figli di suo fratello deceduto: Subba Raju e Venkatrama Raju. Una volta, sorta una divergenza di opinioni, si decise di dividere la proprietà.

In quell’epoca, questo Corpo aveva otto anni. Kondama Raju affermò di non volere alcuna  parte della proprietà e la cedette loro, dicendo che potevano dividerla. I quattro fratelli chiesero a Kondama Raju di trascorrere il resto della sua vita con ognuno di loro, ma egli rispose: “Non voglio restare con voi, né mi aspetto nulla da voi. Tutto ciò che possiedo, dividetelo fra voi e lasciatemi una sola proprietà: Sathya! (Applausi).

Se Egli è con me, non desidero nient’altro”. Poi Mi chiese se volevo stare con lui: risposi subito di sì. Vivevamo in una stanzetta; Mi svegliavo al mattino presto, lavavo gli utensili da cucina e preparavo il pasto per entrambi. Dopo aver preparato il pranzo, correvo nella scuola a Bukkapatnam. All’una suonava la campanella del pranzo. Ritornavo a Puttaparthi, gli servivo il cibo, mangiavo anch’Io e poi mi recavo di nuovo a scuola per le lezioni pomeridiane. Ero sempre puntuale, sia a scuola che a casa. Kondama Raju, essendo un saggio, desiderava Me soltanto.

Un giorno chiamò Pedda Venkama Raju da una parte e gli disse di cambiare il nome di sua moglie in Ishvaramma. Egli parlò in questo modo perché sentiva le vibrazioni divine sorgere dall’interno; era sua intenzione trasmettere il messaggio che ella era la Madre di Ishvara, Dio stesso. Ma Pedda non era consapevole del significato profondo di questo nome: si limitò a ubbidire all’ordine paterno e chiamò la moglie Ishvaramma.

L’ultimo desiderio di Kondama Raju

Il nuovo mandir fu edificato prima che Kondama Raju lasciasse le spoglie mortali. Egli visse fino all’età di 116 anni, ma, nonostante la sua veneranda età, i suoi occhi e le sue gambe erano in buone condizioni; perciò camminava dal vecchio al nuovo mandir, tutti i giorni, senza neppure il sostegno del bastone da passeggio. Gli chiedevo: “Perché vieni a piedi fin qui? Potrebbero esserci dei bufali o delle mucche per la strada; potresti almeno aiutarti col bastone”. Mi rispondeva che le sue gambe erano in perfette condizioni e che non aveva bisogno di alcun bastone.

Era un fervido devoto di Swami. Veniva da Me al mattino presto, alle cinque. Vedendolo arrivare da lontano, Mi coprivo con una coperta fingendo di essere ancora addormentato. Egli arrivava lentamente, sollevava la coperta, Mi toccava i piedi e se ne andava. Arrivava al mattino presto perché non voleva che nessuno lo vedesse toccarMi i piedi; era infatti un po’ in ansia per ciò che avrebbero potuto pensare gli abitanti del villaggio vedendo un vecchio di 116 anni toccare i piedi del nipote.

Una certa sera, andai a trovarlo a Puttaparthi. Era seduto su una branda, immerso nel canto di una ballata che descrive il lamento di Rama per lo svenimento del fratello Laksmana in battaglia. Amava molto questo episodio del Ramayana. Nella canzone, Rama dice: “In questo mondo, potrei trovare un’altra madre come Kaushalya, un’altra moglie come Sita, ma proprio mai un fratello come Laksmana!”

Stava cantando queste parole quando entrai nella stanza e gli chiesi: “Nonno, che cosa stai facendo?” Esclamò: “Swami, sei venuto!” e cadde ai Miei piedi. Poi soggiunse: “Swami, so perfettamente che non sei un bambino qualunque, ma il Signore stesso! Sei nato nella nostra famiglia per redimerci tutti ; Ti prego, perciò, di esaudire un mio piccolo desiderio. Dasharata non ebbe la buona sorte di bere l’acqua dalle mani divine di Rama al momento della morte; invece, Jatayu, nell’ultimo istante di vita, fu beneficiario di una simile grazia. Swami, lascia che anch’io goda di questa fortuna, quando giungerà il mio momento”. Gli promisi che avrei certamente esaudito il suo desiderio.

La settimana seguente, andai ancora da lui dopo aver visitato la casa di Subbamma. Kondama Raju venne a conoscenza del Mio arrivo e chiamò subito Ishvaramma dicendole: “La mia vita sta per volgere al termine. Sapendo che la mia ora è vicina, il Signore sta arrivando per concedermi la Sua grazia”. Ella rispose innocentemente: “Dov’è Dio? Come sai che sta arrivando?” Allora, Kondama Raju affermò: “O donna pazza, sei ancora illusa dal sentimento di una madre per il figlio: guarda là! Dio sta giungendo”. Così dicendo, puntò il dito verso di Me che stavo per entrare in casa. Anch’ella era consapevole della Mia Divinità, ma il suo affetto materno per Me la annebbiava. Anche Yashoda era così: sebbene avesse visto tutti e quattordici i mondi nella bocca di Krishna, pensava si fosse trattato di un sogno o di un’illusione.

Kondama Raju disse a Ishvaramma che Swami non mangiava dolci. Dacché nacqui, non ho mai accettato dolci. Per quale ragione? Se lo facessi, migliaia di devoti comincerebbero a portarMi dolci. Non accetto neppure la frutta; non tocco né latte né curd. Faccio una vita molto semplice. Mangio solo ragi gruel e groundnut chutney. Kondama Raju apprezzava alquanto questi piatti, ed era solito dirMi: “Swami, servimi ciò che mangi Tu”.

Al mattino presto, preparavo un delizioso ragi gruel, del groundnut chutney e del curry con foglie verdi. Tutta la strada amava molto la mia cucina. A volte, di ritorno da Bukkapatnam, trovavo una fila di persone malate davanti a casa ad attenderMi. Kondama Raju Mi informava che desideravano ricevere da Me il rasam al pepe, in quanto avrebbe dato loro grande sollievo. Lo preparavo immediatamente e ne distribuivo un bicchiere a ciascuno. Erano felicissimi di ciò, e più tardi Mi ringraziavano moltissimo dicendo: “Swami, il Tuo rasam al pepe ci ha fatto molto bene!”

A quel tempo, nei giorni celebrativi, come per le feste di Sankranti e di Yugadi, i lavandai e i barbieri erano soliti recarsi a casa nostra per pranzare. In casa c’eravamo soltanto Io e Kondama Raju, quindi dovevo preparare il cibo per molti. Ishvaramma (la madre di Swami), Venkamma e Parvatamma (le sorelle di Swami) preparavano anch’esse, nelle loro case, per i giorni di festa, vari piatti prelibati, come il puri dolce. Se lo facevano loro, perché non avrei dovuto Io stesso cucinare e servire il nonno?

Cucinavo quindi il puri dolce non solo per Mio nonno, ma anche per il lavandaio, il barbiere e altri. In una di quelle occasioni, Mio padre venne a trovarci all’ora di pranzo e Kondama Raju lo pregò di rimanere con noi, così Pedda Venkama Raju assaggiò quel piatto delizioso. Quando tornò a casa, sgridò Ishvaramma e Venkamma perché non sapevano cucinare come Me, dicendo: “Guardate Sathya! È un cuoco eccellente! Perché non sapete cucinare come Lui?” Dal giorno successivo prese a mandarle da Me, chiedendoMi di portargli qualunque cosa avessi cucinato. Esse venivano da Me e si lamentavano che era a causa della Mia cucina se erano diventate il bersaglio dei rimproveri di Pedda Venkama Raju.

A nove anni, Seshama Raju, il fratello maggiore di questo Corpo, decise di portarMi con sé a Kamalapur per gli studi; pensava che stessi sprecando il Mio tempo stando assieme a Kondama Raju: ma Mio nonno si oppose, dicendo che Io non avevo alcun bisogno di studiare. Tuttavia, le cose andarono com’era destino che andassero.

Dopo la costruzione di Prashanti Nilayam, un giorno andai a trovare Kondama Raju, il quale chiese a Ishvaramma di portargli un bicchiere d’acqua, dicendole: “Dio è venuto a prendermi. Mi aveva promesso che sarebbe tornato per versarmi l’acqua in bocca con le Sue mani divine, prima che io lasciassi il corpo. È venuto per mantenere la promessa”. Stupita per le parole di Kondama Raju, Ishvaramma chiese: “Ma non soffri di alcun disturbo: non hai né febbre né altri sintomi di malattia! Come puoi dire che la tua fine è prossima?”

Kondama Raju, allora, rispose: “La morte avviene per volontà di Dio. Così come per la nascita non esiste alcuna ragione, non ve n’è neanche per la morte. Questa è la verità delle verità”. Ishvaramma non volle discutere con lui, così gli portò ciò che aveva chiesto.

Egli si sedette a terra e Mi fece sedere sulla branda. Tenne la testa sulle Mie ginocchia e disse: “Swami, Ti prego, ascolta la mia preghiera”. Ishvaramma assistette a tutta la scena e si chiese come mai il nonno nutrisse un amore così grande per il suo nipotino. Kondama Raju disse: “Come sai, ero impegnato in un piccolo affare per mettere d’accordo le due parti. Forse devo ancora pagare a qualcuno un paisa o un anna. Per favore, benedicimi, affinché non debba morire indebitato”.

Risposi: “Sarà fatto”, e cominciai a versargli l’acqua in bocca. Spirò mentre beveva. Il suo desiderio si era realizzato. Prima di andarsene, disse a Ishvaramma di non farsi illudere dall’attaccamento al corpo: “La relazione fisica è temporanea, mentre quella spirituale è eterna. Perciò, elimina l’attaccamento al corpo e sviluppa attaccamento allo Spirito”.

Tre desideri di due nobili Madri

Da allora in poi, Ishvaramma non visse più a casa, ma a Prashanti Nilayam. Tutti i giorni, al mattino e alla sera, saliva per parlare con Swami. Anch’ella comprendeva bene la Mia Divinità. Quando le apparvi nella forma di Shiva, Mi chiese: “Swami perché Ti cingi il collo di serpenti?” Risposi innocentemente: “Be’, non porto addosso nessun serpente!”

Ella si allontanava dicendo: “Guarda, ci sono dei serpenti qui dentro!” Ma poi, non trovando alcun serpente, tornava per scusarsi con Me. In molte occasioni simili, poté sperimentare la Mia Divinità. Ciò accadde anche alle madri Kaushalia e Yashoda: benché conoscessero la Divinità dei loro figli, erano ingannate dal loro affetto materno. Le madri sono molto nobili e virtuose; è impossibile descrivere a parole la loro grandezza. Non importa se non diventate ricchi materialmente; ciò che conta è che cerchiate di guadagnarvi la ricchezza della grazia di vostra madre. Soltanto allora potrete santificare la vostra vita.

Ishvar Candra Vidyasagar era un’anima nobile. Nacque da una famiglia povera. Viveva con la sua anziana madre, ed era tristissimo nel vedere la madre indossare sari vecchi e logori. Dopo gli studi, trovò lavoro e cominciò a guadagnare un po’ di soldi. Un giorno, sedette a fianco di sua madre e le disse: “Madre, ti prego di dirmi se hai qualche desiderio. Ora ho del denaro e posso esaudirli”.

Ella rispose: “Figlio, non ho desideri per me stessa. Mi basta che tu conduca una vita nobile”. Dopo un po’, egli ottenne un impiego migliore e, poiché guadagnava migliaia di rupie, ripeté alla madre la medesima domanda. Stavolta, ella rispose che aveva tre desideri e che non poteva vivere in pace finché non si fossero realizzati. “Il nostro è un piccolo villaggio - ella disse - e ci sono molti bambini che sprecano il loro tempo in mancanza di una scuola. Ti prego, dunque, di far costruire una scuola con il denaro che hai guadagnato”.

Vidyasagar fece edificare una piccola scuola, poi le chiese quale fosse il secondo desiderio, ed ella rispose: “Nel nostro villaggio, molte persone soffrono della mancanza di cure mediche. Non c’è nessuno che si prenda cura di loro quando hanno febbre, tosse o raffreddore. Vorrei dunque che facessi costruire un piccolo ospedale”.

Vidyasagar fece costruire anche un ospedale. Le domandò, infine, il terzo desiderio. “Gli abitanti del villaggio sono affetti da varie malattie perché sono costretti a bere acqua inquinata - ella rispose. Dovresti far scavare dei pozzi d’acqua potabile”. Egli eseguì immediatamente l’ordine della madre.

Col passare dei giorni, il nome di Vidyasagar si diffuse in lungo e in largo. Era un buon oratore e i suoi discorsi non si basavano sulla conoscenza libresca, ma parlava di cose di tutti i giorni. Perciò, molte persone erano solite radunarsi per ascoltare i suoi discorsi. Era un uomo semplicissimo e umile. Un giorno, mentre si recava in un villaggio limitrofo per un discorso, incrociò in un treno un ufficiale I.A.S. che portava un piccolo bagaglio a mano, e che non aveva mai visto prima Vidyasagar.

Appena sceso dal treno, si mise a chiamare un facchino. Vidyasagar, vedendo ciò, andò da lui e gli chiese dove fosse il suo bagaglio; l’ufficiale gli indicò la sua borsa. Vidyasagar gli domandò allora: “Perché sprechi i tuoi soldi così? Hai bisogno di un portatore per una semplice borsa? Te la porterò io”. L’ufficiale gli chiese quanto volesse per il trasporto, ma Vidyasagar rispose: “Non l’ho fatto per soldi, ma solo come atto di servizio”.

L’ufficiale proseguì verso il luogo d’incontro in cui Vidyasagar avrebbe tenuto il suo discorso, e, quando sul palco vide la stessa persona che gli aveva portato il bagaglio a mano, rimase esterrefatto. Comprendendo quanto fosse umile quella persona, si vergognò del proprio atteggiamento.

Ishvar Candra Vidyasagar utilizzò tutti i suoi guadagni per esaudire i desideri della madre. Anche Ishvaramma ebbe desideri simili. Una volta Mi disse: “Swami, Puttaparthi è un piccolo villaggio. Non c’è una scuola e i ragazzi devono percorrere a piedi lunghe distanze per andare negli altri villaggi. So che Tu sei l’Oceano della Compassione: per favore, fai costruire una piccola scuola!” Le domandai dove volesse che fosse costruita ed ella Mi rispose che aveva un piccolo pezzo di terra dietro casa sua: desiderava fosse edificata lì.
Così feci. Sebbene fosse una piccola scuola, la cerimonia inaugurale fu grandiosa e presenziata da molti devoti.

Il giorno successivo, Mi disse di esser felice della cerimonia inaugurale e di aver un altro desiderio: “Swami, non voglio procurarTi alcun disturbo. Se Tu hai un disturbo, il mondo intero ne sarà turbato; ma se Tu sei felice, tutto il mondo sarà felice. Se ciò Ti farà felice, Ti prego di costruire un piccolo ospedale!” Per suo desiderio, lo feci costruire. Bejawada Gopal Reddy, una persona molto stimata all’epoca, fu invitato a inaugurare l’ospedale. La cerimonia d’inaugurazione fu veramente grandiosa e vi parteciparono migliaia di persone dei villaggi circostanti. Iswaramma non immaginava che sarebbe stato un affare così grande.
Il giorno dopo venne da Me dicendo: “Swami, non importa se muoio ora. Non ho più preoccupazioni: hai esaudito i miei desideri e alleviato moltissimo le sofferenze degli abitanti del villaggio”.

Le chiesi: “Se hai altri desideri, dimmeli adesso”. Rispose esitante che aveva ancora un piccolo desiderio: “Sai che il Citravati è in piena durante la stagione delle piogge. Tuttavia, in estate il suo corso si riduce a un rigagnolo e la gente non ha acqua potabile. Per favore, provvedi a che il nostro villaggio abbia l’acqua potabile!” Le dissi che non Mi sarei limitato a far scavare piccoli pozzi, ma che avrei fornito acqua da bere a tutta la regione del Rayalasima. (Applausi). Replicò che non sapeva neppure che cosa fosse il Rayalasima e che lei sarebbe stata soddisfatta anche se l’avesse avuta solo il nostro villaggio!

Una volta, durante lo Shivaratri, dopo il Mio discorso, i lingam erano pronti a emergere dalla Mia bocca. Mi sedetti e soffrivo alquanto. Vedendo il Mio dolore, Ishvaramma si alzò dalla folla e Mi disse: “Swami, perché soffri tanto? Vieni dentro, vieni dentro!” Risposi che non Mi sarei mosso. Ella si mise a piangere e tentò di persuaderMi, ma non Mi spostai di un centimetro. Allora entrò, non potendo sopportare la vista del Mio dolore.

Nell’attimo in cui si allontanò, uscì l’Hiranyagarbha Lingam! I devoti scoppiarono in un applauso fragoroso. Udendolo, ella tornò indietro, ma il lingam si era ormai manifestato e lo stavo mostrando ai devoti. Tutti si erano alzati per vederlo; di conseguenza, ella non riuscì neppure a scorgerlo per un attimo. Il giorno seguente, Mi chiese di poterlo vedere.

Le risposi che lo avevo dato a qualcuno, ma ella disse: “Swami, non l’ho visto! Voglio vederlo”. Le assicurai che lo avrebbe visto in futuro. Mi rispose che non voleva darMi problemi e se ne andò. Non Mi fece mai soffrire. Ogni volta che Mi chiedeva qualcosa, successivamente tornava indietro per sapere se Mi avesse creato problemi. Ammoniva tutti i devoti che venivano a non crearMi fastidi.

Era preoccupatissima quando venivano i ministri per il Darshan, poiché pensava che potessero darMi qualche grattacapo. All’epoca bastava il berretto rosso d’un poliziotto per gettare scompiglio fra gli abitanti del villaggio. Ciò era solo dovuto al suo sacro amore per Me. Ecco perché poté condurre una vita piena e tranquilla.

Per diffondere questo sacro ideale, il 6 maggio viene commemorato come “Giorno di Ishvaramma”: è per ricordarvi che ognuno di voi dovrebbe rendere felice la propria madre. Se vostra madre è felice, lo è anche Swami.

Sacrificate ogni cosa per il Signore


Tutti dovrebbero amare e rispettare i genitori. Tuttavia, non c’è alcun male a interrompere qualunque relazione diventi un ostacolo fra voi e Dio. Per esempio, Mira era la moglie di Maharana di Citor. Era sempre seduta nel tempio di Krishna, dimentica di se stessa quando cantava il Suo nome. Un giorno, l’imperatore Akbar giunse al tempio per offrire al Signore Krishna una collana d’oro. Mira l’accettò e la mise al collo della statua che rappresentava il Dio.

Akbar era un nemico di Maharana e, quando questi seppe che Mira aveva accettato una collana d’oro da lui, andò su tutte le furie e la cacciò dal tempio. Mira ne fu molto addolorata.

I corvi cominciano a gracchiare contro il cuculo quando esso inizia il suo canto, ma ciò non impedisce al cuculo di continuare a cantare. Le persone comuni sono simili ai corvi: parlino pure come vogliono; i nobili d’animo non ne saranno minimamente toccati.

Mira si trovava nel dilemma di dover scegliere fra suo marito e Krishna, ma decise di non lasciare Krishna neanche se ciò le fosse dovuto costare la vita. Scrisse a Tulsidas per ricevere consiglio e la risposta di quest’ultimo fu: “Dal punto di vista mondano, devi rispettare i genitori, il maestro e il marito, ma, quando si tratta di Dio, tutto il resto è di secondaria importanza. Dio solo conta. Bharata lasciò la madre Kaikeyi per Rama, Prahlada si allontanò dal padre Hiranyakashipu per Narayana e l’imperatore Bali disubbidì al guru Shukracarya per Vamana! Quindi, non v’è nulla di sbagliato nel lasciare tuo marito se si pone fra te e Krishna”.

Seguendo il consiglio di Tulsidas, Mira lasciò il marito. Ella cantò: “O mente, vai alle sponde del sacro Gange e dello Yamuna, la pura acqua dei quali dà refrigerio e purezza al corpo!” Questi due simboleggiano le nadi principali, Ida e Pingala, che convergono al centro delle sopracciglia. Mira cominciò a cantare le lodi di Krishna e si diresse a Brindavan.

Ci sono molti grandi devoti come lei, pronti a sacrificare tutto in nome di Dio. Le donne sono il simbolo del sacrificio. Dichiarano i Veda: “Non si raggiunge l’immortalità né con le opere rituali, né con la progenie, né con le ricchezze, ma solo con il sacrificio”.
Per il Signore potete sacrificare ogni cosa, purché il sacrificio non sia fatto con un sentimento egoistico o per soddisfare voi stessi.

La Bhagavad Gita afferma che la donna ha sette qualità, mentre l’uomo ne possiede solo tre. Quindi, non sottovalutate mai le donne: esse sono assai virtuose! Sono vere e proprie incarnazioni della Natura. Alcune potrebbero pensare erroneamente che sarebbero state più libere se fossero nate uomini, ma in realtà esse sono più forti degli uomini. Con tutti i sacri sentimenti che avete in cuore, rispettate le donne e fatevi rispettare!

Rispettate la madre e ubbidite alle sue volontà. La madre protegge i figli in molti modi. Anche dopo la morte, ella ritorna per aiutarvi in svariate maniere. Non mancatele mai di rispetto, non offendetela mai e non ferite i suoi sentimenti. Tentate di soddisfare ogni sua volontà: soltanto allora in voi potrà germogliare il seme della devozione. Tutti dovreste seguire la sentenza: Matr Devo Bhava: “Considera la madre come Dio”, alla lettera e nel vero significato, per meritare l’amore delle madri.

Baba conclude il Discorso con il bhajan:
“Pibare Rama Rasam”


Kodaikanal, 6 maggio 1999


Da: Mother Sai n° 5/99
(Trad. da sanathana sarathi, n. 6/1999)