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20010506 - 06 maggio

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Discorso Divino
Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba
6 Maggio 2001

FRA TUTTE, SCELSI LEI

Incarnazioni del Divino Amore!
Sfregando ripetutamente il legno di sandalo si ottiene un delizioso profumo, che dà piacere. La canna da zucchero, se masticata a lungo, offre un dolce e squisito succo. L’oro, se riscaldato, brilla e risplende.
Parimenti, un uomo dal cuore grande, anche se deve affrontare molte difficoltà, numerosi ostacoli e gravi dolori, ricorda sempre il Paramâtma1 con profonda pace e non lo abbandona mai.

Dolce relazione fra madre e figlio

In India, sin dai tempi antichi, l’intima relazione esistente fra madre e figlio è d’intenso affetto, tenerezza e dolcezza.

“Râma divenne divino e fu re, poiché nacque come figlio di Kaushalyâ.
I due gemelli, Lava e Kusha, acquisirono grande rinomanza,
essendo stati allevati dalla casta madre Sîtâ.
Fu grazie alla madre Jijabai, che si prese cura del figlioletto Shivâjî,
che questi, più tardi, divenne un potente guerriero.
Allevato con amore dalla madre Putlibai,
Gandhi divenne Mahâtma, Anima Suprema.”

Seminando l’amaro seme del nîm si avranno solo frutti amari. Seminando il dolce seme del mango si raccoglieranno frutti squisiti. La terra è una, ma i semi sono diversi. Allo stesso modo, il grembo della madre è Bhûdevî, la Dea Terra. Nella terra e nel grembo materno non esistono mutamenti. Tuttavia, a causa dei pensieri della madre e del padre, che si modificano in buoni e cattivi, sono generati figli buoni e cattivi. La madre è una creatura sommamente nobile. Ogni individuo nato dal grembo materno può considerarsi molto fortunato.

“Di tutte le forme viventi, la vita umana è la più rara da ottenere.”

Ogni singolo essere umano ha quindi una gran fortuna; per questo si dovrebbero avere nobili sentimenti, pensieri elevati e un cuore gioioso. Solo in tal caso l’uomo sarà realmente fortunato.

Lezione di Verità a Gandhi
Putlibai osservava un voto e seguiva il rituale con regolarità. Era solita mangiare solo dopo aver udito il canto del cuculo. Un giorno, però, il cuculo non cantò e per Putlibai si fece molto tardi per consumare il pasto. Il giovane Gandhi, mosso dall’amore che nutriva per sua madre, pensò: “La mamma avrà fame.” Si recò di soppiatto dietro casa e imitò il canto del cuculo. Lo fece con buone intenzioni, pensando che sua madre dovesse mangiare al più presto. La madre, però, se ne accorse, andò dal figlio e lo prese per un orecchio. Con le lacrime agli occhi gli disse: “È questo il figlio menzognero nato dal mio grembo? Qual donna sfortunata sono mai! Quale peccato ho commesso? Un figlio che dice falsità è nato dal mio grembo!” Mentre piangeva e pronunciava queste parole, percosse il ragazzo alcune volte e l’ammonì di non dire più bugie. Da quel giorno egli promise di non mentire mai e da allora non si scostò mai dalla Verità. Ubbidendo alle parole della madre e professando la Verità, Gandhi ottenne nobile fama.

La devozione della madre di Shankarâchârya
Anche Aryambâ, la madre di Shankarâchârya, era solita adorare Îshvara ogni giorno; offriva abhisheka (aspersione d’acqua su un idolo) al Linga2, beveva poi quell’acqua santa e la dava anche a suo figlio. Questo era per lei un rituale quotidiano. Shankarâchârya aveva sempre il nome di Shiva sulle labbra. Solo grazie alla santità del cuore di sua madre, divenne così famoso e ottenne una sacra reputazione.

La devota serva di Gandhi
Un altro esempio è quello della domestica di Gandhi. Quando Gandhi era un bambino, un giorno si rivolse a lei e le disse: “Madre! Sono così spaventato. Ho paura!” Allora la ragazza rispose: “Figlio! Non c’è bisogno d’avere paura. Dio è qui. Ripeti il Nome di Râma e senza dubbio la tua paura svanirà.” Si dice:

“Com‘è il re, così sono i sudditi.”

Quella ragazza possedeva, infatti, le qualità proprie di una madre. Da quel giorno Gandhi contemplò il Nome di Râma e continuò a ripetere: “Râm, Râm, Râm.” Quando la madre e le persone dell’ambito familiare percorrono il sacro sentiero, anche i bambini crescono in modo santo.

Amore tra madre e figlio
A Rangoon, durante la guerra, una madre e il figlio fuggirono per mettersi in salvo e arrivarono a Madras, dove però non conoscevano nessuno; avevano bisogno di cibo e di riparo ed erano molto preoccupati, non sapendo dove andare o dove stare. La madre pensava: “Io sono in grado di sopravvivere, ma mio figlio ci riuscirà?” Nessuno può descrivere la grandezza dell’amore di una madre.
Trovarono una sistemazione vicino a una stazione d’autobus. La madre era solita andare di casa in casa a chiedere l’elemosina. Se riusciva a procurarsi del cibo, mangiava qualcosa e poi sfamava il figlio; in tal modo lo manteneva in vita. A volte, tuttavia, non le era possibile trovare cibo a sufficienza e quindi non mangiava per nutrire il figlio. A causa dei continui digiuni, s’indebolì sempre più. Il figlio, vista la condizione di sua madre, le disse: “Madre! Finora tu mi hai protetto, ma d’ora innanzi è mio dovere prendermi cura di te. Andrò io in cerca d’elemosina, mentre tu starai a casa.”
Il ragazzo cominciò a bussare di porta in porta, gridando: “Fame, fame, fame!” Portava il cibo elemosinato a sua madre, mentre lui stesso digiunava. Divenne così molto debole. Un giorno si recò alla casa di un ufficiale. Era mattino di buon’ora; l’ufficiale era seduto sulla veranda in una comoda poltrona e leggeva il giornale.
Il ragazzo gridò: “Fame, fame! Madre! Fame!” L’ufficiale fece allora accomodare il ragazzo e gli disse: “Figliolo! Siediti qui; se hai fame, ti darò del cibo; mangia e poi te ne andrai.” Il ragazzo replicò: “No, prendo il cibo per portarlo a casa e poi me ne andrò.” L’ufficiale s’irritò e aggiunse: “Se tu hai veramente fame, perché dovresti portare il cibo a casa? Lo potresti mangiare qui, non è vero?” Gli portò quindi del riso in una foglia. Il ragazzo gli porse un pezzo di stoffa in cui avvolgerlo per portarlo via. L’ufficiale, forzandolo, gli ingiunse perentoriamente: “Siediti e mangia” e continuò a insistere, poiché il ragazzo non intendeva sedersi.
Il giovane con voce rotta sussurrò: “Per la mamma, per la mamma”, e crollò a terra. L’ufficiale gli andò vicino per sentire che cosa stesse mormorando e udì: “Prima per la mamma, prima per la mamma!” Quindi il giovane spirò.
Allora l’ufficiale, vedendo ciò, pensò: “Com’è fortunato questo ragazzo, che ha dovuto lottare così duramente e si è sacrificato per amore di sua madre! Quella madre deve essere proprio una donna di gran virtù per aver dato alla luce un così nobile figlio.” Mentre formulava questi pensieri, si sentì male. Chiamò poi l’ambulanza e fece portar via il corpo.
Nessuno può descrivere l’amore tra madre e figlio. Di tutti i rapporti, soltanto la relazione tra madre e figlio è vera e genuina.
Oggi nessun figlio cerca di realizzare questo rapporto d’amore; pensa prima a se stesso poi alla madre. I figli non tentano di comprendere la posizione e la condizione della madre. Soltanto chi riconosce e agisce in conformità alla situazione di sua madre è un vero figlio.
I figli moderni sono molto egoisti, lottano unicamente per il raggiungimento dei loro interessi e non si preoccupano affatto della felicità della madre e del padre, del loro agio e benessere.

Vidyâ Sâgara e sua madre
A Calcutta viveva Îshvara Chandra Vidyâ Sâgara, uomo di grande virtù. Ogni sera sua madre lo faceva sedere vicino a sé e gli diceva: ”Figlio, quello che hai studiato non è vera istruzione; devi studiare per rendere servizio al prossimo; devi acquisire conoscenza per sostenere il Paese e per farne buon uso.”
Essendo molto povero, egli era solito studiare al lume dei lampioni alle fermate degli autobus. Studiava molto intensamente e, grazie agli insegnamenti di sua madre, faceva grandi progressi. Non c’è nessuno al mondo che non compia progressi quando ha la benedizione della madre. Di qualunque tipo sia il figlio, sua madre lo ama in ogni caso e desidera solo il suo bene. Il cuore di una madre è colmo di compassione, compassione d’amore. Oggi, sfortunatamente, si sta perdendo questo tipo d’amore genitoriale.
Dopo gli studi, Vidyâ Sâgara trovò un lavoro. Un giorno c’era una festa nel suo villaggio e tutti i ricchi indossavano abiti eleganti e gioielli. Sua madre andò alla festa indossando un vecchio sari. Egli la vide e, riconoscendo la situazione di povertà della famiglia, pianse. Quando la madre tornò dalla festa, Vidyâ Sâgara depose ai suoi piedi il primo stipendio del mese e le disse: “Madre! Comperati almeno un bel sari!” La madre replicò: “È meglio che tu tenga per te i tuoi guadagni piuttosto che spenderli per sari o gioielli. Se tu progredirai e otterrai un buon nome, ciò sarà sufficiente per me.” Egli allora domandò: “Dimmi dunque che cosa vuoi.” La madre rispose: “Non te lo dirò ora, ma quando sarà il momento.”

I desideri della madre di Vidyâ Sâgara
Col tempo egli raggiunse una notevole posizione, guadagnando un ottimo stipendio. Ancora una volta chiese a sua madre: ”Madre! Che cosa desideri? Un bell’abito, dei gioielli? Dimmelo, e te li regalerò oggi stesso.” La madre lo fece sedere accanto a sé e disse: ”Figlio! Anche se sei molto istruito, ormai adulto e importante, sei sempre mio figlio e io desidero parlarti con grande affetto. Ascolta le mie parole. Il nostro è un piccolo villaggio e i bambini non possono ricevere alcuna istruzione. Costruisci una piccola scuola, in modo che i ragazzi possano studiare e progredire. Non desidero altro.”
Assecondando il desiderio della madre, Vidyâ Sâgara fece costruire una piccola scuola.

Dopo qualche tempo andò da sua madre e affermò: “Madre! La scuola è costruita; ora chiedimi qualsiasi cosa tu voglia.”  “Figlio! La scuola c’è, ma nel nostro villaggio se i bambini si ammalano, anche solo di tosse o di febbre, non possono ricevere alcuna assistenza medica. Fai costruire un piccolo ospedale, così i bambini staranno meglio di salute.”  Ubbidendo a questo comando, egli costruì un piccolo ospedale.

I buoni intendimenti di Îshvarâmmâ
Anche Îshvarâmmâ nutriva simili propositi. Quando la fama e l’influenza di Sai si diffusero, Îshvarâmmâ un giorno osservò: “Swami, nel nostro villaggio molta gente soffre; quando penso che i bambini piccoli vanno a scuola a piedi sino a Bukkapatnam, provo un gran dispiacere; costruisci una piccola scuola nel nostro villaggio.” Così feci costruire una piccola scuola.
Dopo qualche tempo, ella chiese ancora: “Quando un bambino ha la febbre o sta male, sua madre lo deve portare sino a Bukkapatnam; vedendo ciò, mi si stringe il cuore.” Così feci costruire un piccolo ospedale.
Quella piccola scuola è diventata ora un’università. La combinazione fra i buoni propositi della madre e l’eterna determinazione di Sai ha dato origine all’università. Per via di quel buon intendimento, il piccolo ospedale è diventato ora il “Super Speciality Hospital”, un ospedale altamente specializzato.
Infine, prima di morire, ella espresse un altro desiderio: “Tutte le donne del nostro villaggio vanno incontro a numerose difficoltà per procurarsi l’acqua. Per tirarla su da quei pozzi così profondi, si procurano il mal di schiena. Fai qualcosa per rendere l’acqua più accessibile.”
Secondo le possibilità di allora, in alcuni punti vennero scavati pozzi e installate tubature. Così Îshvarâmmâ fu felice. Oggi l’acqua viene distribuita nell’intero distretto e c’è in ogni casa. Quando si ottiene la grazia di Dio, non serve altro. Quando si ha l’amore della madre, non occorre altro amore.

Le premure di Îshvarâmmâ
Ancor oggi l’amore di Îshvarâmmâ si rende manifesto; sebbene siano già trascorsi 40 anni da quando morì, si muove ancora con il corpo; a volte viene da Me, Mi dà dei messaggi e poi se ne va.
“Swami! Tu prendi tutti i fazzoletti che la gente Ti offre e Ti asciughi le labbra. Non toccare i fazzoletti di tutti.” Io replicai: “Se Me li offrono con devozione, come posso evitare di toccarli?”
“Ci sono molti devoti, milioni di anime nobili. Tuttavia, alcuni ti offrono il fazzoletto con cattive intenzioni, sentimenti insinceri e qualità riprovevoli; non prendere il fazzoletto di tutti.”
Allora le chiesi: “Per quale motivo?” Ella aggiunse: “Possono offrirTi il fazzoletto dopo averci sparso delle sostanze velenose, che se si depositano sulle labbra possono essere letali. Cose simili succedono nel mondo; quindi non prendere quei fazzoletti.” Io le promisi: “Va bene, agirò secondo il tuo desidero.”

La cintura di Îshvarâmmâ
Tuttora, di tanto in tanto, Îshvarâmmâ viene nella Mia stanza. Anche i ragazzi che dormono lì lo sanno. Quando arriva e Mi parla, i ragazzi si alzano e ascoltano.
Un giorno chiesi ai ragazzi: “Figlioli! Ho un dhotî di seta. È difficile indossarlo e avvolgerlo bene: voglio una cintura.”  Tutti i ragazzi si preoccuparono: “Swami vuole una cintura adatta.” Ma nelle cinture ci sono delle fibbie che brillano un po’. Se indosso qualcosa del genere, si vedono dei riflessi attraverso la veste. Poi la gente pensa: “Ecco, Sai Baba si è messo una cintura d’oro.” Dissi quindi ai ragazzi: “Non Mi serve quel tipo di cintura.”
Un mattino di buon’ora, Îshvarâmmâ venne nella Mia stanza e Mi parlò. Allora Satyajit, Srinivas e Sainath si alzarono e si sedettero. “Swami! È assolutamente impossibile che qualcuno sia entrato nella stanza. Abbiamo chiuso l’ascensore! Chi è venuto, con chi stai conversando?” Allora spiegai loro: “Griha Ammâyî3 è venuta; guardate, Mi ha portato questo e poi è andata via.” Mostrai loro la cintura: non c’era attaccato nulla a quella cintura; solo i ganci, che si adattavano perfettamente l’uno all’altro.
Madri così, al mondo, sono numerose. Diverso è invece il numero dei figli che scelgono la madre, da cui nascere. Le madri poi che scelgono i figli sono di un’altra categoria. Îshvarâmmâ è colei che Io prescelsi: “Voglio lei come Mia madre.” C’è quindi un’intima relazione fra lei e Me.

La storia di Chaitanya

Chaitanya Mahâprabhu si recò al tempio di Shiva per il darshan e osservò: “Swami! Tu sei il Signore del mondo, il Signore dell’universo. Lo so bene. Tu sei il sostenitore di tutte le creature viventi, hai ogni potere e sei onnisciente. Non ho bisogno di niente. Non desidero né oro, né ricchezza, né automezzi: non Te li chiederò mai. Non desidero neppure devozione e distacco. Non voglio neanche la Liberazione o il Paradiso. Dammi soltanto una cosa: Amore per amarTi. Non esiste altro al mondo che sia meglio del Tuo Amore. Dammi solo quello.”
Poiché Chaitanya Mahâprabhu desiderava ardentemente tale Amore, andò in giro per il mondo propagando l’Amore per Dio. “Ricordatevi di Dio! Contemplate Dio! Non esiste nessun altro che Dio.”
Sua madre, tuttavia, lo incalzava dicendogli: “Figlio! È difficoltoso vagare da solo per il mondo alla tua età. Ho un desiderio; c’è una ragazza umile, veramente devota, molto adatta a te. Proviene da una gran famiglia e si chiama Lakshmî: sposala!”
Egli replicò: “Non voglio sposarla; ho Dio, mi sono offerto interamente a Lui.”
La madre insistette: “Figlio! Ti sei arreso mentalmente a Dio, ma c’è anche l’aspetto fisico, non è vero? La resa è spirituale. Ti devi sposare.” Poi portò Lakshmî e li fece sposare.
Subito dopo il matrimonio egli partì in pellegrinaggio e divulgò in tutto il mondo il messaggio di Chaitanya4. Non fece ritorno a casa neppure dopo molti mesi. Lakshmî era molto pia e con un cuore nobile; aveva amore puro, disinteressato e stabile. Ricordandosi sempre di Chaitanya e pensando costantemente a lui, spirò.
Dopo la sua morte, Chaitanya ritornò a casa. Allora sua madre gli prese le mani e affermò: “Figlio! A causa della mia insistenza, ti sei sposato e quella ragazza ha perso la vita. Non sarà più possibile trovare una donna di così grande virtù.” Così dicendo, lo fece sposare un’altra volta a una ragazza di nome Vishnupriya. Egli sposò Vishnupriya e partì per il Bengala, dove diffuse la gloria di Dio. Vagando in quell’area si dimenticò di tutto e anche di casa sua. “Ho solo Dio; non ho altro pensiero, se non quello di Dio.” Così dicendo, suonava i cimbali e cantava i bhajan.
Alcuni individui gelosi e attaccabrighe gli portarono via i cimbali. Allora egli si legò un tamburo intorno al collo e continuò a cantare i bhajan. Alcuni turbolenti, però, gli strapparono via anche il tamburo.  Egli disse: “Ah, credono che io dipenda da tali strumenti. Anche questo legame è ormai sciolto. Ho le mani e mi bastano!  Nârâyana, le mani che tu mi hai dato sono sicure; non mi serve il suono del tamburo.” Continuò così a cantare i bhajan.
Alcuni malvagi lo presero allora per le mani e lo percossero violentemente. Egli, tuttavia, non se ne curò e continuò a ripetere: “Nârâyana, Nârâyana, Nârâyana! Krishna, Krishna, Krishna!” Mentre lo picchiavano, tutto il suo corpo era sanguinante. Quando, però, sua madre arrivò e lo vide, tutto quel sangue scomparve. Era tutto sparito. “Questo è il corpo di Dio, non è mio; qualunque cosa mi facciano, non ho paura.”
Coloro che non comprendono la devozione e s’arrendono al mondo, sono immersi in diversi tipi d’illusione. Il buono e il cattivo provengono solo dalla madre. Se il cuore della madre è puro, anche il figlio avrà un cuore puro. Non dovete mai ferire il cuore della madre e i suoi sentimenti.

Îshvarâmmâ e la gente cattiva

Un giorno, quando il vecchio mandir era ancora una piccola capanna ricoperta di paglia, arrivò una gran folla. Îshvarâmmâ venne da Me e gentilmente Mi disse: “Swami! Molti vengono qua, ma è gente cattiva; possono farTi del male. Io non riesco più a dormire!”
Le risposi: “Non devi avere paure simili. Un giorno o l’altro il corpo deve andarsene; alla fine bisogna lasciarlo. Non avere attaccamenti al corpo.” Dopo queste parole ella andò via.
Quella notte dormii tutto solo nella vecchia capanna ricoperta di paglia. Qualcuno appiccò fuoco ai quattro lati della capanna; subito s’innalzarono grandi fiamme. Subbâmmâ e Îshvarâmmâ, vedendo l’incendio, vennero di corsa. Non si notava il benché minimo segno di pioggia in tutta l’area; ma quando esse arrivarono, proprio sulla capanna venne giù un violento scroscio di pioggia. In un istante le fiamme cessarono. Io uscii e le due donne dissero con sollievo: “Swami! Tu sei salvo; questo ci basta!”

Krishna ambasciatore
Krishna si recò dai Kaurava come ambasciatore da parte dei Pândava. Parlando ai Kaurava, cercò in molti modi di raggiungere un compromesso: “La guerra non è da farsi, molta gente può morire; anche parenti e amici possono morire. Non potete continuare a vivere uccidendo i vostri amici, parenti e le persone che vi sono care.”
Quale ambasciatore, visitò poi in prima istanza Dharmaja. Persino Dharmaja asserì: “Swami! Chi sono quei Kaurava per Te? Tu vuoi raggiungere un compromesso con loro?  Non voglio.”
Dopo di ciò avvicinò Arjuna e gli chiese: “Arjuna! Sto andando dai Kaurava come emissario. Ti piace l’idea?” Arjuna, passionale ed emotivo, rispose: “Senza dubbio, vai! Fa’ che accettino la guerra.”
Krishna interpellò poi Bhîma, il quale osservò: “È impossibile evitare d’uccidere quei malvagi; devono essere distrutti. Accetta di combattere contro di loro.”
Egli andò poi a sentire il parere di Draupadî5. Il cuore delle donne è sempre molto tenero e sacro. Ella affermò: “Krishna! Se si decide di combattere e tutti i miei parenti moriranno, quanto dovrò soffrire! Se anche i parenti dei Kaurava moriranno, anch’essi dovranno soffrire, non è vero? Io non voglio questa guerra. Nessuno deve subire le tragiche conseguenze di una guerra.”
Krishna andò anche da Nakula e Sahadeva, che rimasero in silenzio e non dissero nulla. Si recò infine alla capitale dei Kaurava, Hastinâpura, e conversò con il re cieco.
La proposta di raggiungere un compromesso non venne accettata e quindi Krishna fece ritorno.
A quell’epoca Nakula e Sahadeva erano giovani. Dopo che Krishna fu ritornato, entrambi andarono da Lui e Lo abbracciarono, stringendolo forte. “Krishna! Ci hai chiesto quale fosse il nostro desiderio. Quello che vogliamo è solo questo. Tu sei ritornato sano e salvo dopo aver avvicinato quei malvagi; ciò ci basta. Il Tuo benessere è la nostra felicità, è tutto per noi.  È meglio che Tu ora non vada più da quella gente malvagia.”
Arjuna avrebbe poi asserito:

“Come potrei sopportare di vivere, dopo averne uccisi un così gran numero?
Mi gira la testa; senza indugiare oltre, ritorniamo a casa.”

Compassione di Draupadî
Anche Draupadî, rivolgendosi a Krishna, affermò: “Fratello! Quel giorno quando cercasTi di raggiungere un compromesso con i Kaurava, la mia mente non lo accettò. Può sembrare che le donne siano deboli, ma non è così; siamo disposte a tutto. Per quanto riguarda il sacrificio e la rinuncia, nessuno è superiore alle donne. In primo luogo, sacrifichiamo l’egoismo; poi è nostro dovere desiderare il bene dei figli. Per questo motivo affermai che non volevo la guerra.”
Sin dai tempi antichi, donne simili hanno sostenuto la cultura di questo sacro Paese.
Nel cuore della notte, Ashvatthâman6, il figlio di Dronâchârya tagliò la gola a tutti i figli di Draupadî e fuggì. Arjuna disse: “Lo porterò qui e gli taglierò la gola davanti a voi. Spargerò il suo sangue sulle vostre teste, in modo che possiate lavarle e questa macchia scomparirà.”
Brandendo la spada, Arjuna riportò Ashvatthâman, legato. Mandò poi a chiamare Draupadî. Quale fu il suo comportamento? Ella gli corse incontro e cadde ai suoi piedi. Chi riuscirebbe a mantenere la calma alla vista del malvagio che aveva tagliato la gola dei suoi figli? Draupadî cadde ai piedi di Ashvatthâman e così supplicò:

“Ashvatthâman! I miei mariti impararono l’arte della guerra
e del tiro con l’arco da tuo padre Drona.
I bambini sono i figli di quei discepoli.
È corretto uccidere i figli dei discepoli di tuo padre,
senza compassione alcuna?”

Ella gli prese i piedi:

“Essi non rivolsero accuse contro di te, non erano armati per la guerra,
non ti fecero alcun male, né ti tradirono.
Tu li uccidesti nell’oscurità, inermi e incapaci di difendersi.
Come hanno potuto le tue mani compiere un atto simile?”

Continuò così a implorarlo. Quale donna si sarebbe comportata così? Se qualcuno avesse tagliato la gola dei suoi sei figli, riuscirebbe una donna a sopportare un simile dolore? No. Draupadî aggiunse: “Oggi i miei figli sono morti e io piango per loro. Se mio marito ti uccidesse, quanto piangerebbe tua madre! Le lacrime di una madre non devono essere versate. Arjuna, non ucciderlo!”
Egli rispose: “Ho fatto una promessa, un voto che devo mantenere, altrimenti perderò la reputazione. Devo ucciderlo per forza.” Draupadî allora osservò: “Non è corretto da parte tua uccidere un bramino; non solo un bramino, ma chiunque. Ed è peccato ancor più grande uccidere il figlio del Maestro. Io non lo accetto!” Pronunciando queste parole, Draupadî si mise davanti ad Asvatthâman, facendogli da scudo.
A quel punto arrivò Bhîma: “Se non uccidi quest’uomo malvagio, gli schiaccerò la testa con il mio pugno.” Draupadî intervenne: “Se vuoi mantenere la tua promessa, mantieni la calma e perdonalo. Il perdono è una gran qualità.”

“Perdono è Verità, è Dharma, è Veda.
Perdono è Non violenza, è Tolleranza, è tutto.
Perdono è Felicità, è la cosa più ambita.
Il dolore è inferno.”

“Perdonalo, perdonalo!” I Pândava avevano gran coraggio e valore, ma non possedevano la dolcezza della compassione e della gentilezza presente nel cuore di Draupadî.
Il cuore di tutte le donne è sacro, si scioglie e fluisce, ha in sé la dolcezza del nettare. A volte, nei momenti d’ira, possono comparire tracce di durezza, ma poi esse se ne pentono profondamente. Nessuno è più grande delle donne nel pentirsi.

Donne esemplari
L’antica cultura e le nobili qualità sono state preservate a lungo nel paese di Bhârat (India). Tuttavia, a causa dell’influenza esercitata dal Kali Yuga7, quell’amore è andato distrutto persino nelle donne. Ci sono, però, ancora donne virtuose, madri e mogli caste e nobili, che continuano a preservare il Chatur Dharma8 (Rettitudine, Prosperità, Desiderio, Liberazione). Non c’è penuria di tali nobili madri. Grazie a loro, l’India si trova per lo meno nell’attuale condizione.
Per merito delle donne si possono avere prosperità e benessere. Persino il progresso dell’intero Paese dipende dalle donne. Le donne non devono essere considerate inferiori; non ridete di loro. Le donne più anziane sono come madri, mentre quelle più giovani sono come sorelle. Se tutti gli uomini avranno quest’atteggiamento, il Paese prospererà.
Comprendendo e sperimentando tale Verità, potrete ottenere anche la Divinità. Con l’Amore di Dio, riceverete ogni sorta d’amore. Non dovete pensare che le madri siano persone ordinarie. La madre deve essere venerata. Con la grazia e la benedizione della madre, riceverete la grazia del mondo intero.

La benedizione di Subhadrâ9

Il figlio di Subhadrâ era pronto per andare a combattere. Subhadrâ lo benedisse, dicendo: “Figlio! Tu vai in guerra, anche se io non voglio; va e ritorna vincitore. Questo mi basta, non mi occorre altro. Tuo padre è già sul campo di battaglia e anche tuo zio, Krishna, è andato ad aiutarlo. Non c’è nessun altro in casa; è rimasto solo Dharmaja. In ogni caso tu vuoi andare; ebbene va’ e poi ritorna.”

“La benedizione conferita da Gaurî a suo figlio, quando egli si accinse a uccidere Târakâsura,
la benedizione che Bhârgava ricevette da sua madre al momento dell’uccisione di Shambarâsura,
quella sicurezza, quella protezione e difesa vengano a te conferite!”

Subhadrâ benedisse suo figlio in quel modo. Tutte le donne a quei tempi erano grandi e nobili. Anche oggi ce ne sono, tuttavia in passato erano più numerose. Oggi ci sono molte donne che soffrono profondamente nel loro cuore e cercano di portare i figli sulla retta via, distogliendoli da quella sbagliata. Ce ne sono milioni in India. Non si devono dare dispiaceri alle madri. Nessuno può descrivere l’amore di una madre. L’amore della madre è persino più grande di quello di Îshvara.

Protezione di Pârvatî o di Îshvara
Un giorno Pârvatî e Îshvara erano in viaggio per proteggere il mondo. Un uomo seduto su un albero, vi si arrampicò su fino in cima. In pochi istanti (dato che un ramo era rotto – N.d.T.) sarebbe caduto e morto. Pârvatî lo vide e implorò: “Signore! Proteggilo, proteggilo!” Shankara10 si fece gioco di lei e disse: “Sei stata tu a vederlo; tu sai che raggiungerà la dimora della morte. Proteggilo tu; perché dovrei farlo Io?”
Pârvatî Lo pregò nuovamente: “Come posso proteggerlo? Senza la Tua grazia, è impossibile che mi pervenga un simile potere. Senza di Te c’è solo il negativo, mentre Tu sei il positivo. Solo se negativo e positivo si uniscono, scaturirà la protezione. Îshvara, Îshvara non indugiare oltre!”
Îshvara replicò prontamente: “Qualsiasi cosa succeda, gli uomini devono soltanto chiedere a Dio, non è vero? Se non chiedono, Dio non farà assolutamente nulla. Non può esistere un’azione senza motivazione. Quell’uomo dovrebbe per lo meno chiamare, no? Se non sono chiamato, come posso rispondere?” Infatti, si dice: “Senza invito non si può assistere a una cerimonia.”
La Madre, infinitamente compassionevole, aggiunse: “Îshvara! Se, quando cade, pronuncia la parola “ammâ” (madre), andrò io a proteggerlo. Se invece dirà “appâ” (padre) lo proteggerai Tu. Io sono la Madre e Tu sei Suo Padre”.
Raggiunto quest’accordo, entrambi aspettarono di vedere chi avrebbe chiamato. A causa del suo cattivo fato, egli non aveva mai adorato né la Madre, né il Padre in nessun giorno della sua vita.  Così dalla sua bocca non uscì la parola ”ammâ”, né pronunciò “appâ.”  Gridò invece “Ahi!” e cadde giù dall’albero. In tal caso chi l’avrebbe protetto?
Pertanto, i ricordi evocati in vita verranno in vostro soccorso quando sarete prossimi alla fine. Almeno la madre e il padre dovrebbero essere ricordati. Quale Dio potrà mai aiutare il folle, che dimentica la madre e il padre? La Divinità è pienamente presente nella madre e nel padre. La madre è Dio, il padre è Dio. Con simili sentimenti nel cuore, dovete essere pronti a esprimere la vostra gratitudine in ogni modo.
Oggi viene commemorato il “Giorno di Îshvarâmmâ” per diffondere nel mondo la divinità e la grandezza della madre.

Dio, unico rifugio
Le donne non hanno nessuno cui appoggiarsi. I figli non le aiutano; i mariti non le aiutano. Si dice che Dio è il rifugio di coloro che non hanno alcun rifugio. Infatti, Dio è il loro unico rifugio. C’è solo Dio ad ascoltare le loro preghiere. Pertanto il mondo intero è in grado di mantenere il benessere solo grazie alle loro preghiere.
Gli uomini possono dire più di mille preghiere, ma una sola preghiera detta col cuore da una donna è sufficiente, perché il cuore delle donne è tenero e rasserenante. Anche una sola parola pronunciata da quel cuore dolce assicura benessere.
Non fate arrabbiare vostra madre, non datele il benché minimo dolore. Solo così Dio vi aiuterà. Non a caso si dice la “madre patria” per indicare il nome del Paese; nessuno dice “padre patria”. C’è forse qualcuno che usi simile espressione? Tutti dicono “madre patria”.
Anche verso il vostro Paese dovete avere lo stesso sentimento che si ha per la madre. Il Paese è la madre patria. Il corpo è un dono della madre. Con tale sentimento d’amore proteggete, sostenete la madre patria e distruggete tutti i dolori che la colpiscono. Per nessun motivo e in nessuna circostanza dovete causare dolore a vostra madre. Comportarsi e agire seguendo tale Verità, è il giusto Dharma. Ecco il significato e l’insegnamento che la celebrazione odierna intende trasmettervi.
Voi conoscete P. Sushila, devota da oltre 40 anni, cui diedi un figlio, di cui celebrai poi il matrimonio. Anche la moglie del figlio è una cantante. Oggi sono qui e canteranno alcune canzoni per donare felicità a tutti i presenti: ascoltateli con gioia.
Nel Kalyân Mandapam (salone dei matrimoni) seguirà poi una recita eseguita dai bambini Bâl Vikâs. Sapete perché sono organizzate simili attività? La mente dell’uomo è molto instabile, è come una scimmia pazza. Per tenere sotto controllo la mente dai tratti scimmieschi, tali programmi, come discorsi, canti, sacre preghiere, sono essenziali. Non seguite la mente:

“La mente è una scimmia pazza,
il corpo è una bolla nell’acqua.
Non seguite il corpo, non seguite la mente:
seguite la Coscienza.”

Ecco la cosa più importante.  Siate, quindi, pazienti e guardate le due rappresentazioni con gioia e siate felici.

(Swami conclude il Discorso con il bhajan: “Hari Bhajana Binâ Sukha Shânti Nahin…”).

Whitefield, 6 maggio 2001,
Sai Ramesh Krishan Hall,
Giorno di Îshvarâmmâ

Versione Integrale

Note:
1.    Paramâtma – L’Essere Supremo, l’Assoluto, da cui tutto è emanato, in cui tutto esiste e in cui tutto si fonde.
2.    Il Lingam è il simbolo della creazione, ciò che non ha principio né fine, in cui tutti i nomi e le forme si fondono e verso cui tutti i nomi e le forme procedono per conseguire la loro realizzazione. I Lingam materializzati da Swami sono solitamente ovoidi d’oro, di giada, cristallo e altro materiale, la cui forma ellissoidale riassume in sé tutto: rappresentano la Forma di Dio, la vera Forma della Realtà.
3.    Griha Ammâyî  - Ragazza della casa. Così Swami chiama Sua madre.
4.    Chaitanya – La Consapevolezza Universale, il Principio Divino, la Natura Divina senza gioia o dolore, sempre in perfetto equilibrio.
5.    Draupadî - Principessa reale moglie dei cinque fratelli Pândava. Ella avrebbe sposato l’arciere che avesse colpito un bersaglio girevole, a forma di pesce, collocato in cima a un altissimo palo. Arjuna ebbe successo e ottenne la mano di Draupadî per tutti e cinque i fratelli.
6.    Ashvatthâman - Nella battaglia del Kurukshetra era schierato al fianco dei Kaurava contro i Pândava. Nell’ultimo giorno di battaglia, penetrando nottetempo nel campo dei Pândava, uccise i figlioletti dei principi Pându.
7.    Kali Yuga - Chiamato l’età del ferro e delle tenebre, comprende un periodo di 432.000 anni. È l’era attuale e il suo inizio fu determinato dalla fine dell’Avatâr Krishna.
8.    Chatur Dharma - I quattro fini dell’esistenza umana, oggetto dello sforzo della disciplina spirituale: acquisizione della prosperità per mezzo della rettitudine e sviluppo del desiderio per la Liberazione.
9.    Subhadrâ era sorella di Krishna, moglie di Arjuna e madre di Abhimanyu.
10.    Shankara – Nome di Shiva. Significa “Colui che dona ogni sorta di bene”.